Don Marco Ceccarelli Commento XXVII Domenica Tempo Ordinario “B”

XXVII Domenica Tempo Ordinario “B” – 3 Ottobre 2021
I Lettura: Gen 2,18-24
II Lettura: Eb 2,9-11
Vangelo: Mc 10,2-16

  • Testi di riferimento: Gen 1,27.31; Dt 24,1-4; Tb 8,6; Pr 2,17; 5,18-23; 18,22; Qo 4,9-12; Sir 17,5;
    Is 50,1; Ger 3,1.14; Mal 2,14-16; Mt 5,31-32; 11,28-30; 18,3-4; Mc 9,42; Lc 16,18; Rm 7,2-3; 1Cor
    6,16; 7,4.10-11.13; 11,8-9; Ef 5,28.31-33; 1Tm 2,13; 5,14; Eb 13,4; 1Pt 2,2; 3,1.7
  1. Prima lettura. «Non è buono che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). Questa parola che Dio ha pronunciato all’inizio della creazione manifesta il “programma” che Egli ha inscritto in ogni essere umano.
    Che l’essere umano, uomo o donna, non sia creato per la solitudine è qualcosa su cui tutti facilmente concorderebbero. Nessuno vorrebbe essere solo. Ma non tutti cercano l’uscita dalla solitudine
    nello stesso modo. Secondo il testo biblico quello che permette all’uomo di uscire dalla solitudine è
    avere una donna con il quale diventare una cosa sola. In altre parole, l’essere umano esce dalla solitudine amando, donandosi ad un altro. Un altro che gli è diverso e “corrispondente” (v. 20) allo
    stesso tempo. Dunque tutti sono chiamati a non essere soli, cioè a sposarsi, ad entrare in relazione
    con un altro a cui si dona la propria vita. La stessa cosa che in Gen 1,26-27 viene espressa con
    «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza … Maschio e femmina li creò», in Gen 2,18 lo
    si afferma dicendo «Non è bene che l’uomo sia solo; gli farò un aiuto corrispondente». La chiave
    della felicità umana risiede in questa uscita dalla “solitudine” per donarsi all’altro. Nessuno deve
    essere single perché ciò contraddice apertamente il programma che Dio ha inscritto nell’uomo. La
    solitudine contraddice la “bontà” della creazione. Anche un prete o una suora non sono singles (anche se così li presenta la televisione); essi sono sposati con Cristo perché a lui hanno dato la loro vita e non vivono per se stessi, facendo la loro volontà, ma la volontà del loro sposo. Cristo non è
    un’ideale, un progetto di vita, un esempio da seguire; Cristo è una persona, concreta e viva, con la
    quale si può veramente entrare in relazione e diventare una sola cosa.
  2. Il ripudio. Il brano di Vangelo odierno presenta l’insegnamento di Gesù su due argomenti: il primo è quello relativo al ripudio, e il secondo sul permettere ai “parvuli” di andare a Gesù.
  • «Cosa vi ha ordinato Mosè?» (v. 3). La domanda di Gesù non ottiene una adeguata risposta da
    parte dei suoi interlocutori. Infatti essi si appellano alla norma di Dt 24,1-4 in cui si permette il divorzio dalla moglie da parte del marito. In questo permesso non c’è alcun comando! In realtà la
    domanda di Gesù richiede la risposta che egli stesso dà nei vv. 6-8 citando i testi di Gen 1,27 e Gen
    2,24. Qui sì che c’è un comando, ed è quello di essere una carne sola fra marito e moglie (va ricordato che al tempo di Gesù tutto il Pentateuco veniva attribuito a Mosè, e quindi anche il testo della
    Genesi!). Dunque il testo di Dt 24,1-4 è solo una concessione a quello che è invece il vero comando
    e quindi la volontà di Dio.
  • «L’uomo non separi» (v. 9), ovvero l’indissolubilità del matrimonio. La prima cosa da notare e
    sottolineare è che la proibizione del divorzio (v. 9) e l’equiparazione di un nuovo matrimonio con
    l’adulterio (vv. 10-12), sono espressi in maniera categorica. C’è adulterio quando una persona sposata ha rapporti sessuali con chi non è suo coniuge. E siccome, dice Gesù, un matrimonio non si può
    mai sciogliere, se si dà un secondo matrimonio si dà automaticamente adulterio. Quello che Gesù
    dice non lascia spazio a margini di compromesso. L’amore è di natura sua totale e definitivo. Nessuno che sia veramente innamorato può desiderare che un giorno quel rapporto finisca. Chi ama
    qualcuno sente una esigenza di totalità nei confronti dell’altro. L’indissolubilità del matrimonio non
    è solo un valore teologico; è una intrinseca conseguenza dell’essenza del matrimonio che è l’amore.
    E l’amore implica la fedeltà. È la fedeltà, cioè il permanere nel tempo, il fattore determinante
    dell’amore. Ciò che caratterizza l’amore di Dio è la fedeltà; infatti «il suo amore è eterno» (Sal
    136,1). Dio si “sposato” con Israele con una alleanza eterna. Cristo si è sposato con la Chiesa, è di-
    ventato uno con essa. Ogni essere umano è creato ad immagine di Dio. In ognuno di noi sta scritto
    che siamo creati per l’amore e l’amore implica la fedeltà, la totalità, la perpetuità. Tanto più questo
    è vero se siamo rinati dall’alto. Occorre imparare che non ci sono alternative al nostro matrimonio,
    che non possiamo tornare indietro. Non possiamo guardare indietro, ma sempre avanti. Esistono
    realtà che sono irreversibili. Nemmeno Cristo può tornare indietro. Se egli volesse liberarsi della natura umana non potrebbe. Una donna che partorisce un figlio diventa sua madre; anche se poi si
    stancasse di lui, anche se lo odiasse e lo uccidesse, lei rimane comunque sua madre. Per questo occorre imparare ad accogliere il dono del matrimonio come qualcosa di unico. Non ci si può sposare
    pensando che tanto se le cose non andranno bene nel matrimonio c’è sempre quella persona al lavoro che è disponibile. Se penso di avere un’alternativa ad una certa realtà, istintivamente non ho un
    atteggiamento di riguardo verso quella realtà. Se so invece che non ci sono alternative al mio matrimonio starò bene attento a non fare stupidaggini e a proteggerlo da tutto. E questo atteggiamento
    comincia già dal fidanzamento, dalla serietà con cui si vive il rapporto con l’altro.
  • La legge sul divorzio. Una legge non fa una verità. Il legislatore deve partire dal riconoscimento
    della verità e legiferare di conseguenza. Ma nel momento in cui una legge è apertamente in contrasto con la verità non può essere accettata. Il problema è che, tuttavia, una legge che va contro la verità morale fa un grave danno perché instilla nelle persone l’idea che un determinato comportamento, dato che non è reato, non è nemmeno un male. Questo adeguamento di mentalità ad una norma
    legislativa è diffusissimo e sta diventando sempre più parte anche della forma mentis dei cristiani
    praticanti. Nessuno di noi è immune. Non si verificano divorzi soltanto a pochi anni dal matrimonio, ma anche dopo 25-30 anni; e questo anche in coppie di cristiani praticanti. Per questo occorre
    immunizzarsi con degli anticorpi che ci possono venire solo dall’ascolto di Dio. Si può riuscire a
    non camminare nel consiglio degli empi nella misura in cui si “medita la parola di Dio giorno e notte” (Sal 1,1-2).
  • La Chiesa ha il dovere di difendere la verità. «Potrebbe quasi sembrare che il divorzio sia talmente
    radicato in certi ambienti sociali, che quasi non valga la pena di continuare a combatterlo, diffondendo una mentalità, un costume sociale ed una legislazione civile a favore dell’indissolubilità. Eppure ne vale la pena! In realtà questo bene si colloca proprio alla base dell’intera società, quale
    condizione necessaria dell’esistenza della famiglia. Pertanto la sua assenza ha conseguenze devastanti, che si propagano nel corpo sociale come una piaga – secondo il termine usato dal Concilio
    Vaticano II per descrivere il divorzio (cfr. GS 47) -, e influiscono negativamente sulle nuove generazioni dinanzi alle quali viene offuscata la bellezza del vero matrimonio» (Giovanni Paolo II, Discorso alla Sacra Rota, 28 Gennaio 2002).
  1. «Sinite parvulos venire ad me» (v. 14). La seconda questione del Vangelo odierno ha a che fare
    con i “parvuli”. Il parvulus è il “piccolo”, il bambino che ha bisogno di imparare. La caratteristica
    specifica del parvulus è quella dell’apprendimento. Così in Pr 9,4 la donna-Sapienza dice «Si quis
    est parvulus veniat ad me». Perciò in Mc 10,14 Gesù non sta esprimendo semplicemente una tenerezza verso l’innocenza dei bambini, ma sta dicendo che i parvuli, cioè gli inesperti, quelli che devono essere istruiti, che devono conoscere la sapienza, devono essere lasciati andare da lui e non essere ostacolati, perché possano imparare da lui. Con ciò egli si dichiara implicitamente il Maestro
    per eccellenza, quella vera Sapienza discesa dall’alto che invita gli inesperti ad andare da lui per
    non rimanere tali. Nessuno ha il diritto di impedire a questi parvuli di andare a lui. Nessuno deve
    impedire al bambino che è in noi di saziarsi del suo insegnamento, perché solo chi accoglie il regno
    di Dio sapendo di essere un bambino bisognoso di sapienza entrerà in esso.

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