Don Marco Ceccarelli Commento XXXII Domenica Tempo Ordinario

XXXII Domenica Tempo Ordinario “B” – 7 Novembre 2021
I Lettura: 1Re 17,10-16
II Lettura: Eb 9,24-28
Vangelo: Mc 12,38-44

  • Testi di riferimento: Es 22,22; Dt 10,18; 15,10; 24,6; 1Re 13,5; Ne 10,37; Gb 22,25; Sal 68,6; Is
    1,17.23; 10,1-4; Mt 6,7.19-21; Mc 10,20-21.28; 12,30; 14,3.7-8; Lc 4,25-26; 14,7-8; Rm 12,1-2;
    1Cor 7,32; 2Cor 8,2-3.12; Fil 3,8; 4,11; 1Tm 5,5-6; Gc 2,2; 1Gv 3,18
  1. Prima lettura: la vedova di Sarepta e l’importanza del “tutto”. Quello della totalità è un concetto
    biblico non irrilevante, soprattutto quando si parla della relazione con Dio. In questa lettura si parla
    di una vedova del villaggio di Sarepta alla quale non rimaneva che il minimo essenziale di sopravvivenza per se stessa e per il figlio. Nessuno avrebbe potuto ragionevolmente chiederle nulla. Nessuno poteva pretendere che lei si privasse di ciò che era strettamente indispensabile per sopravvivere. Eppure Elia lo chiede. E lo chiede in nome di Dio, vale a dire, come qualcosa che Dio stesso
    comanda alla donna di fare. La richiesta è assolutamente irragionevole. La donna si trova in una situazione di estrema emergenza. C’è in corso una grande carestia; il cibo non si trova da nessuna
    parte. In queste condizioni, in cui se qualcuno rubasse per vivere sarebbe giustificato, quale Dio può
    comandare di rinunciare al proprio alimento, e in base a quale ragione? La necessità di conservarsi
    in vita supera ogni altra esigenza; e quel pugno di farina che le è rimasto rappresenta la vita. Eppure
    quel Jahvè che da altre parti nella Bibbia è chiamato padre degli orfani e difensore delle vedove, ora
    pare diventato un aguzzino proprio di un orfano e di una vedova. Quel Jahvè chiede la vita.
  2. La vedova del Vangelo.
  • Anche in Mc la “totalità” è quasi un concetto teologico. Lo abbiamo già visto nelle domeniche
    precedenti. Al ricco che assicurava di avere osservato “tutti” i comandamenti (10,20), Gesù lo invita
    a lasciare tutto e seguirlo (10,21). A Pietro che ricorda che essi hanno lasciato “tutto” (10,28), Gesù
    dichiara la loro ricompensa. Il comandamento più grande è quello di amare Dio con la totalità di se
    stessi (12,30). La donna che unge Gesù con l’olio profumato lo fa versando tutto il liquido (giacché
    rompe il vasetto che lo conteneva: 14,3). Così, anche nel brano di Vangelo odierno, abbiamo una
    vedova che dà tutto quanto ha per vivere.
  • L’abbondanza dei ricchi e la mancanza della vedova (v. 44). Al tempo di Gesù una vedova riceveva, come altri poveri, la razione giornaliera che le serviva per il proprio sostentamento. Mentre molti versano nel tesoro del tempio il loro superfluo, la vedova dà «tutto il suo vitto» (il termine è bios,
    “vita”). Ella infatti ha versato quello che le veniva dato come sua razione quotidiana di sopravvivenza. Quel giorno si è privata (volontariamente) di quanto le serviva per vivere, facendo un segno
    con cui mostra di voler mettere tutta la sua fiducia in Dio. Quanto lei ha dato serve ben poco per arricchire il Tempio, ma è un atto con il quale riconosce Dio come fonte della sua esistenza. Gesù
    quindi afferma che dà veramente colui che dà la “vita”, che dà ciò che gli permette di vivere. Chi è
    “mancante”, indigente, l’unica cosa che possiede è la vita. È l’offerta della vita il vero contributo
    per l’edificazione di quel tempio di Dio che è la Chiesa.
  • In Mc 14,3-9 si racconta di una donna che versa dell’olio profumato, di grande valore, su Gesù. Lo
    versa tutto, giacché addirittura rompe il vaso che conteneva il profumo. In questo contesto Gesù si
    presenta come il vero “mancante”, il vero povero (vv. 6-8) che offre la sua vita per gli uomini. Ma
    egli è anche il nuovo tempio a cui va dato tutto ciò che si ha. Sia questa donna anonima che la vedova del tempio mostrano cosa significhi compiere il più grande dei comandamenti, l’amare Dio
    con la totalità della propria vita. La donna versa tutto l’olio, addirittura rompendo il vasetto; e tutti
    sono scandalizzati della “perdita” (Mc 14,4), perché si ritiene una perdita inutile, uno spreco, dare a
    Dio tutto. Ma questa donna, senza proclamarlo, come farà invece il centurione più tardi (Mc 15,39),
    mostra di riconoscere in Cristo il figlio di Dio e lo ama senza tenere nulla per sé, come la vedova.
  • La religiosità e la fede. Nei capitoli 11, 12 e 13 di Mc appare un’alternanza fra discorsi relativi alla
    fede e altri relativi al tempio. Il tempio è un simbolo della religiosità naturale. Si va al tempio per
    offrire a Dio, ma fuori del tempio ognuno si considera dio della propria vita, ritiene di gestirsi la vita come crede. Inoltre la religiosità si pasce di apparenza, di esteriorità, di culti esteriori, indipendentemente dall’atteggiamento interiore; ed è questo che Gesù critica nell’atteggiamento degli scribi, oltre al fatto di usare la religiosità per il proprio vantaggio, anche a costo di sfruttare gli altri.
    L’atteggiamento degli scribi biasimato da Gesù funge da chiaro contrasto con quello della vedova.
    È il contrasto fra religiosità e fede, fra il culto esteriore e la vita. Nel cristianesimo non c’è una separazione fra sacro e profano. Tutto è santo, e il tempio è il corpo del cristiano offerto interamente a
    Dio. Per questo il cristiano offre a Dio un culto spirituale con tutto se stesso e in tutta la sua vita
    (Rm 12,1-2; Gv 4,23-24). L’uomo religioso offre a Dio molte cose, ma non la vita. Egli offre a Dio
    per ricevere da Dio ciò che lui desidera; Dio è in funzione sua, perché lui è al centro, non Dio. E il
    suo offrire è spesso spinto dalla paura. Chi invece ama è disposto a dare tutto; infatti «nell’amore
    non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e
    chi teme non è perfetto nell’amore» (1Gv 4,18). La totalità è costitutiva dell’amore. Dio vuole tutto
    perché vuole che amiamo, perché sa che solo l’amore ci fa felici. Il cristiano offre a Dio la sua vita,
    riconoscendo che la vita non gli appartiene e perché Dio faccia con la sua vita ciò che vuole. Chi è
    pervenuto alla fede ha capito che egli in realtà non ha nulla da offrire, ma è Dio che offre tutto a lui,
    a partire dal bene primario della vita.
  1. Altra possibile interpretazione. Secondo alcuni quello che a prima vista potrebbe sembrare una
    lode nei confronti della vedova in realtà non sarebbe così. Gesù non starebbe lodando la donna, ma
    rivolgendo un’ulteriore critica verso il sistema templare e la teologia degli scribi. È vero che versare
    offerte in favore del tempio faceva parte delle opere di ogni pio israelita. Tuttavia, come Gesù aveva
    criticato l’insegnamento illegittimo degli scribi e dei farisei che spingevano le persone a fare offerte
    anche contravvenendo a norme fondamentali della Legge divina (Mc 7,5-13), così in questo episodio Gesù di nuovo starebbe vedendo nell’obolo della vedova – per quanto ammirabile in se stesso –
    una biasimevole forzatura proveniente dall’insegnamento dei capi religiosi. Gli scribi contravvengono in questo caso alla Legge divina che prescrive di avere a cuore gli orfani e le vedove (cfr. Es
    22,22) per seguire invece la propria tradizione (come appunto Gesù ha detto in Mc 7). La vedova
    non era assolutamente tenuta a versare ciò che le serviva per vivere, ma avrebbe fatto quel gesto
    perché spinta dall’avidità degli scribi (che nel v. 40 sono descritti come divoratori delle case delle
    vedove), i quali avrebbero disprezzato quelle due monete se non fossero state tutto quanto aveva. Le
    parole di Gesù sarebbero dunque un’attestazione dell’estrema spietatezza degli scribi e un lamento
    nei confronti di una religiosità diventata ormai così depravata e corrotta che non risparmia nemmeno i più poveri (in questo caso tale lamento continuerebbe e troverebbe il suo epilogo nel proseguo
    del Vangelo con la predizione della distruzione del tempio).
  2. La vedova cristiana. Secondo san Paolo la vedova cristiana «quella che è veramente vedova … ha
    riposto la sua speranza in Dio e si dedica alla preghiera giorno e notte» (1Tm 5,5). La vedova del
    Vangelo, con il suo gesto di estremo abbandono nelle braccia di Dio, può così facilmente raffigurare la vedova cristiana, chiamata a porre la sua fiducia in Dio, Padre delle vedove. Lungi dal commiserarsi per la sua sorte, per la sua miseria, ella offre tutta se stessa al Signore, sapendo che «la donna
    non sposata si preoccupa delle cose del Signore» (1Cor 7,34).

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