Don Paolo Zamengo “Dunque tu sei re?”

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) – Cristo Re  (21/11/2021)

Dunque tu sei re? Gv 18, 33b-37
Forse Pilato cercava di capire e Gesù che prima aveva taciuto davanti al Sinedrio
ora invece parla, e risponde a Pilato, quasi gli riconoscesse quel desiderio di
capire di che regno e di che re si trattava.
Qualcosa non corrispondeva a quello che gli avevano detto di Gesù. Agli occhi di
Pilato, Gesù non aveva proprio l’aria di essere un gran re. Eppure glielo avevano

presentato come uno che si fa re.
E anche noi, facciamo la stessa domanda in questa domenica ultima dell’anno liturgico:. “Dunque
tu sei re?”. La domanda va posta a Gesù perché le risposte degli uomini, le nostre supposizioni
possono essere ambigue, fuorvianti e anche menzognere.
“Dunque tu sei re?” E la risposta è: “Il mio regno non è di questo mondo”. C’è da capire, perché se
non andiamo oltre le parole, possiamo credere che il regno di Gesù non riguarda questo mondo,
ma solo l’al di là. Ma allora perché preghiamo: “Venga il tuo regno”? se è del cielo? Se non è di
qui?
Gesù lo spiega: non è di questo mondo, non è di qui, non perché non si interessa del mondo, ma
perché è un regno che ha un’altra logica, tutt’altra, lontanissima anni luce, dalla logica dei regni
umani. La logica dei regni della terra è combattere, perché il re deve vincere e non essere
consegnato al nemico.
Proprio le parole “non è di qui” mi affascinano e mi emozionano. Le troviamo nel Vangelo di
Giovanni quando racconta che, con Gesù, crocifissero due ladroni, uno di qui e uno di qui e Gesù
in mezzo. E al centro la croce, con l’iscrizione “Gesù, il Nazareno, il re dei Giudei”. È folgorante
questo accostamento.
Dove si combatte, dove si fa violenza, dove il criterio è vincere, dove si fa strada la voracità del
potere, del denaro, dell’ “io”…, Gesù dice: non è qui, non passa di qui il mio regno. E invece dice:
“è qui” sulla Croce, tra due malfattori, dove le braccia sono spalancate nell’atto del consegnarsi e
di consegnare la vita, di accogliere e abbracciare.
Dove l’altro conta più della mia vita, dove ci si consegna nell’amore, dove ci si batte per la libertà
degli altri, per il rispetto dell’impronta di Dio nell’altro e nel creato: è qui il regno di Dio, passa di
qui il suo regno.
Avete certo compreso, sono due logiche inconciliabili; in un caso puoi dire: qui c’è il Regno di Dio,
nell’altro sarebbe una bestemmia. Dipende da cosa inseguiamo: il potere? l’apparenza?
l’interesse? Non è qui, ci risponde Gesù. Non è qui il mio regno. Ma se cerchiamo le braccia
spalancate ad accogliere tutti, allora siamo arrivati.
È proprio Pilato a fare la giusta presentazione di Gesù: “Ecco l’uomo” dirà mostrando Gesù
flagellato e incoronato di spine. Certo non nella violenza che si è scatenata contro di lui in nome
dell’impero romano.
Ma la brutalità di quella notte ci svela che la strada per una nuova umanità regale passa da
un’altra parte. “Ecco il re”, dice la liturgia. “Ecco l’uomo”, dice Pilato.

La passione, la morte e la risurrezione di Gesù ci consegnano il Regno di Dio che ha come fine la
ricostruzione dell’umanità, della nostra umanità.