Don Paolo Zamengo” Cantare sull’uscio di una casa”

IV Domenica di Avvento (Anno C)  (19/12/2021)

Vangelo: Lc 1,39-45 

Cantare sull’uscio di una casa

Elisabetta entra in scena quando Maria va a visitarla. Perché Maria si mette incammino verso la montagna? Certo per dare aiuto ma anche per un bisogno di raccontarsi, di confidare un segreto. Due donne dell’attesa si incontrano, si abbracciano, si raccontano e cantano.

La storia ci dice che non è irrilevante il bisogno di comunicare. Pensate alla gioia e alla forza che nasce dagli incontri: si condivide entusiasmo, gioia, consolazione, sostegno, fedeltà! 

Ma confesso che non mi riesce  di togliermi dagli occhi altre immagini di una cronaca quasi quotidiana, quando leggiamo di donne violate, stuprate, inseguite e uccise.  Storie che raccontano l’offesa della dignità.  Sempre più spesso assistiamo  all’insulto e all’aggressione. Violenze che uccidono la speranza in un futuro più umano. Ci servono leggi, certo,  ma serve anche e soprattutto una conversione, un cambio del cuore. 

Le due donne sull’uscio di casa ascoltano la voce che viene dal loro grembo. I bambini dell’una e dell’altra raccontano, giorno e notte, che Dio le ha guardate. C’è un segno anche nel loro corpo. Dio ha fatto cose grandi in Maria e in Elisabetta, donne umili e sconosciute. 

Qui sta la radice del rispetto, della salvaguardia della dignità. Sta in questo leggere sempre qualcosa di grande nel piccolo, nel debole, nell’indifeso, nel bisognoso di aiuto. Il rispetto della dignità dell’altro sgorga dal tuo sguardo, occhi che guardano gli altri non come un vuoto, non come assenza, ma come una presenza, una creatura abitata da qualcosa di grande, di immenso, che un giorno troverà l’ultima difesa nel futuro di Dio. 

Dobbiamo recuperare questo sguardo da ciò che avvenne quel giorno sull’uscio della casa sui monti di Giuda. Avvenne come una pentecoste, un flusso dello Spirito e non in spazi sacri di riti o di preghiere, ma semplicemente per uno scambio di saluti, di due promesse madri. 

Chi ce lo ha mai insegnato che a propiziare la discesa dello Spirito possono bastare anche solo le parole semplici di un saluto, il rito del saluto, il rito dell’abbraccio, sull’uscio di casa.  A noi può succedere invece di attraversare la porta di casa come fosse deserta e di vivere i gesti come fossero insignificanti o vuoto perbenismo. 

Abbiamo pensato di incontrare Dio dove il corpo finisce: e abbiamo trasformato il corpo in strumento o macchina per la fatica o, peggio, per esibirlo come trappola o lo abbiamo perseguitato  e siamo diventati crudeli, abbiamo permesso lo sfruttamento e la guerra. 

Maria ed Elisabetta si parlano. L’una vede l’altra come un dono e un dono immeritato: “A che cosa devo che la Madre del mio Signore venga da me?”  Ogni creatura è abitata da Dio, una zolla del divino ha preso dimora nelle fibre più segrete dell’umanità, della nostra terra. 

E sull’uscio di quella casa un canto. Il canto di Maria, il “Magnificat”, non si è più spento. Da allora, da quel primo giorno sulla montagna, il canto  ha invaso le nostre chiese. Di quel canto sono colme le nostre liturgie, un canto dentro la nostra casa, dentro la nostra vita.