Epifania del Signore (06/01/2022)
Dire epifania è provare un brivido perché è immaginare carovane in cammino, confini immensi, deserti sconfinati, sciami di stelle. E io ho solo parole piccole che portano il segno inconfondibile del limite.
Oggi per raccontare l’epifania avrei bisogno di occhi che sanno scrutare orizzonti, di un cuore che ama i sentieri senza confini. E di non avere paura di perdermi.
Ogni volta che osservo il presepio e le statuine dei magi, mi ricordo come da bambino, con mio fratello Luigino, più grande di me, le andavamo spostando verso la capanna, dovevano camminare i Magi. I Magi, uomini del cammino.
Forse i magi avevano nel sangue la nostalgia dell’infinito, gli occhi persi tra le stelle. Il cielo parla e loro ascoltano. Penso che sia un peccato per noi il fatto che nelle nostre città sia sempre più difficile contemplare i cieli notturni nell’ora in cui diventano un prato di stelle.
E quando, a volte, ci capita, è come se le nostre meschinità, le nostre piccinerie, che fanno di noi degli esseri insopportabili, evaporassero, sparissero di colpo. E in quei momenti ci accade di sentirci naviganti nell’orizzonte senza confini.
“Vennero” scrive Matteo “da oriente a Gerusalemme” Anche la parola “oriente” ha un fascino, come il cielo stellato. Da oriente: c’è un’attesa che abita la terra sconosciuta e mette in cammino. E sono tenaci e coraggiosi questi cercatori. Giunti a Gerusalemme, non si lasciano fermare da una città che guarda con sospetto questi sconosciuti che non si lasciano intimorire dai volti incartapecoriti dei rappresentanti della legge e del culto.
I sacerdoti e gli scribi hanno tra le mani i libri della sapienza, i libri dei cammini e, invece, loro declamano a occhi spenti parole che dovrebbero mettere il fuoco nelle vene. Le istituzioni immobili, la città spaventata.
I magi non si arrendono. Nemmeno al buio che fa parte del cammino di tutti, di tutti i cercatori di stelle. In cammino sempre. Avanzare, non fermarsi, cercare, non arrendersi, andare avanti sono questi gli atteggiamenti dei veri esploratori dello spirito.
Giungono a una casa. Erano abituati a contemplare le stelle nei cieli lontani, ora una stella si era fatta vicina, come impigliata su una casa, una casa comune, uguale a tutte le alte case. A segnalarla non c’erano scritte ma c’era una stella, la loro stella. Una casa, un bambino, una madre: “si prostrarono e lo adorarono”.
Era tutto piccolo, disadorno, comune, ma straordinario era il mistero che Dio ha preso casa tra le case, che Gesù è un bambino come uno dei tanti bambini del mondo e sua madre come una delle tante mamme del mondo.
Erano in cerca della luce ed ecco, la luce abitava una casa. Forse le stelle proprio questo dovevano raccontare. Raccontare che la luce del divino abita le case, abita donne che portano in braccio un bambino.
Là, in quella casa, era finito il tragitto delle stelle. E non sarà che qui finisce anche il nostro cercare e che l’epifania di quest’anno ci sveli proprio questo? Se siamo uomini e donne in cammino!
