II Domenica di Avvento (Anno A) (04/12/2022)
Attendere dove? Attendere come? Il vangelo ci porta nel deserto. Anche noi
andiamo da Giovanni nel deserto. Anche noi, nascosti tra quelli che “da
Gerusalemme, da tutta la Giudea, dalla zona del lungo il Giordano,
accorrevano a lui”.
Ci spostiamo. Spostarsi significa cambiare posto. Spostarsi significa
abbandonare. Dal tempio andiamo nel deserto. Ci è chiesto di andare là
dove a parlare è il silenzio, dove le parole sono essenziali, là dove le parole
sono abitate dal cuore, da Dio. Anche il tempio può essere un deserto per l’attesa. Però Giovanni non ha scelto il tempio. Ha scelto Il deserto.
Il tempio, frequentare il tempio, non ci risparmia da un pericolo che sta in agguato: quello di ridurre tutto a ritualità che non mette in moto la vita. Fanno pensare le parole ruvide del Battista, ruvide come il suo corpo reso di fuoco dal deserto. E chiama “razza di vipere” farisei e sadducei che lottavano per avere fama di persone per bene. “Vipere”! E Giovanni conosceva le vipere del deserto! E sapeva come difendersi dal veleno delle vipere. E rimprovera farisei e sadducei di essere venuti al suo battesimo.
Non si tratta di andare al Giordano per aggiungere un rito ad altri riti, ma per cambiare la stoffa della vita, l’orientamento del cuore, lo spessore della vita. Si va al Giordano, ci si immerge nell’acqua per cambiare.
“Per fare un frutto degno di conversione”. Fare qualcosa che parli e dica che abbiamo cambiato la direzione della vita, che è in atto una rivoluzione, una rinascita. Altrimenti è come se non ci fossimo spostati, come se fossimo rimasti nella vecchia situazione.
E il Battista continua: “Colui che viene dopo di me… vi battezzerà in Spirito santo e fuoco! Non basta bagnarsi, non basta un battesimo di purificazione, ci si lava e basta. Quello del Messia sarà un battesimo che, immergendoci nello Spirito santo, nel soffio di Dio, nel crepitio del vangelo, ci comunicherà un fuoco,
una passione, che non lascia immobili o indifferenti, ma infiamma e fa ardere la vita.
La vita corre sempre il pericolo di inaridirsi, di affievolirsi, di raffreddarsi. Mi chiedo quanto sia rimasto in me dello Spirito santo che è fuoco. Quanto è rimasto in me quando inizio una nuova giornata, quando mi trovo tra le mani un impegno da affrontare e portare a termine, quando la vita mi offre la bellezza degli incontri. Quanto mi è rimasto dello Spirito santo e del suo fuoco?
Abbiamo tutti bisogno di avvento. Ma anche di altro. Ce lo ricorda il brano di Matteo che parla del Battesimo sottolineando la coralità. Certo il battesimo, la conversione sono un evento personale ma sono anche un evento corale. Colpisce nel racconto la coralità, “tutti”: “Tutta Gerusalemme, tutta la Giudea, e tutta la zona lungo il Giordano”. Mi sembra di vederli camminare verso il Giordano, non ognuno per suo conto, ma gli uni con gli altri, insieme, un nuovo esodo verso la terra promessa.
Voglio dirvi che è commovente questo essere tutti insieme, anche noi, a fare Avvento. Ci sosteniamo gli uni gli altri. Ci sosteniamo, abbiamo bisogno di tutti. Ricordo che un giorno, rivolgendosi ai vescovi, papa Francesco disse: “Ai vescovi chiedo di essere… pastori. Non di più, ma pastori! Sia questa la vostra gioia: essere pastore. Sarà la gente, il vostro gregge, a sostenervi”.
Mi è capitato di viaggiare in autobus nell’ora di punta e c’era tanta gente che non sapevo dove mettere la mano per reggermi. Spinto a destra e a sinistra, mi appoggiavo alle persone per non cadere. E così ho pensato che, oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi un prete è la sua gente”.
La gente che prega.