III Domenica di Avvento (Anno A) – Gaudete (11/12/2022)
Vangelo: Mt 11,2-11
«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». In Giovanni, come in ciascuno di noi, la fede può essere attraversata dal dubbio. Ma non significa necessariamente che non si crede: perché il dubbio può avere l’essenziale funzione di affinare la fede, può portare al passaggio (Pasqua) dall’immagine di Dio che nutriamo, a Dio stesso nel suo rivelarsi.
In effetti, Giovanni Battista era attraversato dal dubbio in quanto le opere di Gesù non sembravano rivelare un Messia come quello preannunciato da lui: opere che fossero severo giudizio su tutte le inautenticità della fede, a partire soprattutto da quelle legate ad una religione ridotta all’appartenenza formale e arrogante, senza vivere l’amore di Dio e del prossimo.
In effetti, Gesù risponde al dubbio del Battista citando dei passi della Scrittura che si compiono nella sua opera, nei quali, però, non sembra rivelarsi quell’azione che ci si aspettava dal Messia. Soprattutto, Gesù aggiunge la beatitudine di chi «non inciampa su di me»: skàndalon è una parola greca che si applica a qualcosa che fa inciampare chi cammina. Gesù ammette che, nonostante le sue opere, non è affatto evidente che Lui sia considerato il Messia in base al suo agire. Per aderire a Gesù, come il Consacrato atteso da Dio, c’è uno scandalo da superare: e lo scandalo è quello di un Messia povero e disarmato in questo mondo.
Allora Giovanni, incarcerato e ormai prossimo al martirio, potrà scoprire, in questa sua sorte, non il fallimento della sua missione, ma, all’opposto, il suo pieno compimento. Prefigurerà la sorte di «colui che deve venire» con il martirio: «La sua stessa morte è un annuncio di Pasqua, della morte e risurrezione di Cristo» (Marco Cé).
Quello che trovo estremamente significativo è il fatto che Giovanni, nel suo dubbio, non rivolga a Dio, oppure a se stesso, o ad altri la domanda, ma si rivolga direttamente a colui di cui dubita: «Sei tu…?». Più che mai, qui la fede appare come affidamento personale, come un cammino attraverso il quale cresce la relazione, una relazione fra viventi. L’altro può diventare un dubbio per me. Invece di chiudermi, posso trasformarlo in interrogativo che apre ad orizzonti inaspettati.
Subito dopo, Gesù testimonia che il Battista era tutto fuorché un uomo dubbioso, esitante: non era come «una canna sbattuta dal vento». Non era cioè un fuscello agitato da qualsiasi vento spiritualistico. La sua attesa e il suo annuncio del Messia erano assolutamente pertinenti il piano dell’opera salvifica del Signore e radicati nella Scrittura. “Era l’ora” che venisse il Messia, perché la situazione del suo popolo lo richiedeva.
Gesù poi testimonia la coerenza del Battista: per predicare il suo battesimo di conversione, Giovanni ha assunto uno stile di vita che ne fosse conforme: cioè caratterizzato dalla radicalità. Quindi non stava «in morbide vesti nei palazzi dei re», ma nel deserto e nella durezza della vita che esso richiedeva. Una radicalità che voleva portare le persone ad aprirsi al Messia e alla sua opera.
Per questo, Gesù dice che «non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista», perché Giovanni è il solo dell’AT che può annunciare la presenza del Messia atteso dal suo popolo. Giovanni realizza in sé la figura del ritorno di Elia a preparare tale venuta. Giovanni è il più grande uomo che sia nato grazie a questa sua prossimità con il Messia.
«Ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui». «Il più piccolo» viene interpretato come qualsiasi che appartiene al Regno inaugurato da Gesù, «mentre Giovanni, in quanto precursore, è rimasto alla porta» (nota della Bibbia di Gerusalemme). Questa lettura provoca però la sgradevole impressione che il Battista resti escluso dal quel Regno che è venuto a preparare, in contrasto con il suo ruolo di nuovo Elia che conduce a colui che introduce a tale Regno. «Il più piccolo» può significare, allora, «il più giovane», il discepolo, cioè Gesù in rapporto a Giovanni. Infatti, nella dimensione puramente storica, Gesù non è risultato superiore a Giovanni. Basti considerare il fatto che il grande storico del tempo, Giuseppe Flavio, dedica una lunga pagina a Giovanni Battista, mentre non parla mai di Gesù. Invece, nella economia del Regno, Gesù è il più grande, perché è il Messia, mentre Giovanni ne era “solo” il precursore.
Anche noi apparteniamo al Regno con il titolo di «più piccoli». Perché c’è questo scarto che ci scandalizza: il più piccolo diventato il più grande. È superato il giudizio, inteso non solo come condanna, ma anche come valutazione delle opere. Fossero anche le opere dell’amore. Alla fine, ciò che resterà di ciascuno sarà l’amore che ha vissuto, il resto si decanterà: questo è il giudizio. Temo che di me rimarrà allora ben poco, ma il Signore ricostituirà il mancante, intrecciando amore per una nuova umanità. Il giudizio non seleziona, ma trasfigura.
Alberto Vianello