III Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
Mt 4,12-23 

Il vangelo di oggi unisce la notizia dell’arresto di Giovanni Battista
all’inizio della vita pubblica di Gesù. Ed è sorprendente la perfetta
coincidenza delle parole di Gesù con quelle di Giovanni: “Convertitevi,
perché il regno dei cieli è vicino”.
“Convertitevi” è invito a cambiare mentalità, cuore, direzione. La
direzione da riscoprire è quella del Regno di Dio che ora si è fatto vicino.
Rimettiamo nel nostro orizzonte Dio e i suoi pensieri, Gesù e le sue scelte.
Bellissime sono le parole del salmo di oggi: “Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e
ammirare il suo santuario”.
Nascono perciò domande e verifiche sui miei desideri. Cosa desidero per me? Qual è il mio
orizzonte? Cosa ispira le mie scelte? Convertirsi è aprirsi a Dio.
Ma voglio aggiungere un altro pensiero: il brano di Matteo se da un lato sottolinea una continuità
tra Gesù e Giovanni Battista, dall’altro evoca un cambiamento radicale proprio con il senso delle
parole “conversione” e “convertirsi”. Parole che, nel tempo, si sono indebolite, scolorite e
andrebbero riaccese.
E’ scritto poi che Gesù “lasciò Nazaret e andò ad abitare a Cafarnao, sulla riva del mare, nel
territorio di Zabulon e di Neftali, perché si compisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia”. Gesù
per l’annuncio, per la predicazione non sceglie il deserto e neppure rimane a Nazaret. Ma si
immerge in spazi più ampi, sceglie una città di confine, sulla riva di un lago, crocevia di carovane.
Va a Cafarnao. L’annuncio ora è per le strade, tra le case degli uomini.
Questa discontinuità non è solo topografica ma è lo stile del suo annuncio, del suo vivere. Gesù
non pronuncia parole dure, veementi, rocciose come il Battista. Gesù racconta la misericordia.
Gesù vive la misericordia. Mangia e beve con pubblicani e peccatori, annuncia la salvezza tra le
loro case. Non va nel deserto ma prende dimora a Cafarnao.
Mi viene in cuore una domanda. Forse siamo chiamati anche noi a uscire dai territori protetti, dai
territori ecclesiastici, per andare ad abitare a Cafarnao. Per stare, con la passione del vangelo nel
cuore, nei luoghi dei grandi cambiamenti, delle nuove sfide, delle quotidiane domande, quelle che
vengono da strade, da piazze e da case.
E stare in ascolto ma senza aria da maestri, ma semplicemente fare compagnia ai compagni di
viaggio. Mi affascinava questo invito ad andare altrove. Non per occupare posti, ma per
abbracciare “genti”, e genti al plurale.
Papa Francesco ci dice: “La missione dei battezzati, dei sacerdoti, dei consacrati, non è
determinata dal numero o dalla quantità di spazi che occupano, ma dalla capacità di generare e
suscitare cambiamento, stupore e compassione. Dal modo in cui vivono come discepoli di Gesù, in
mezzo a coloro con i quali condividono il quotidiano, le gioie, i dolori, le sofferenze e le speranze”.
Noi cristiani non siamo significativi se siamo massa o se occupiamo tutti gli spazi possibili.
Sappiamo invece che la vita si gioca sulla capacità di “lievitare” là dove ci troviamo e con chi ci

troviamo. Perché essere cristiani non è aderire a una dottrina, o frequentare un tempio, o essere
di un gruppo etnico.
Essere cristiani è vivere un incontro: incontrare Cristo Gesù. Per generare e suscitare
cambiamento, conversione, stupore e compassione. Come ha fatto Gesù.