Figlie della Chiesa Lectio VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)  (12/02/2023)

Vangelo: Mt 5,17-37  🏠

Muoviamo i primi passi in questo nuovo anno liturgico, in cui ci farà da mentore l’apostolo Matteo, con il suo vangelo indirizzato alle prime comunità cristiane provenienti dal giudaismo. L’indicazione dei destinatari non è casuale, in quanto il brano, che la liturgia di questa VI domenica ci offre per la preghiera, risponde ad esigenze molto importanti per la crescita nella fede di queste comunità. L’intento dell’evangelista è innanzitutto quello di mostrare che il cristianesimo introduce una novità sostanziale e spiazzante, perché, pur fondandosi sui principi che il giudaismo aveva ormai assodato, li supera nettamente, spostando l’attenzione non più sulla necessità di osservare le regole, che pur rimangono importanti, ma piuttosto sul primato della relazione.

I primi cristiani provenienti dal giudaismo assistevano così ad una vera e propria rivoluzione: non erano più davanti a una questione di volontà, non si trattava più di osservare in modo irreprensibile le regole, per essere accolti e amati da Dio: diventava una questione di relazione, quindi una sfida ancora più grande, che richiedeva di porre al centro la relazione con Dio e quindi con i fratelli, in un legame indissolubile.

È la stessa sfida che viene consegnata a noi, cristiani del XXI secolo! Come i primi cristiani, anche noi sperimentiamo che, per quanto sia impegnativo e faticoso rispettare le norme, è comunque più facile che cimentarsi nella difficilissima arte della relazione, che sempre più spesso risulta conflittuale e molto esigente. Possiamo dire senza timore che la malattia del nostro secolo è proprio l’incapacità di relazionarci tra noi in modo libero e pacifico. Il contesto socio-politico in cui viviamo ci conferma quanto sia difficile la convivenza tra popoli di diverse culture e religioni, quanto sia faticoso il dialogo tra le varie potenze a livello internazionale; e senza andare troppo lontano, quanto sia complicata e snervante a volte la relazione nelle nostre case, tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, tra amici, nell’ambito lavorativo. In questo scenario possiamo comprendere meglio quanto sia forte l’affermazione di Gesù: “Ma io vi dico…”; essa non solo ci conferma che non siamo esonerati dal trasgredire anche uno iota o un trattino della legge, ma ci rende consapevoli che l’osservanza di tutto ciò è preceduta da una relazione primaria e fondante con Lui, l’unica che ci permette di andare verso i nostri fratelli rimanendo fedeli a tutto quello che la legge ci indica. Solo la relazione con Lui ci rende capaci di vivere da cristiani.

Il cuore del messaggio evangelico di questa domenica potremmo allora racchiuderlo in una domanda che Gesù ci rivolge: “Che relazione hai con me?”. E la risposta a questa domanda ci richiede di mettere bene a fuoco il volto di Colui che ce la rivolge. Andando infatti a leggere i versetti che precedono la nostra pericope, ci imbattiamo nell’inizio del discorso della montagna, nel quale il primo intento dell’evangelista è proprio fare un ritratto del Figlio che il Padre ci ha donato: il volto di Gesù è quello che emerge dalle beatitudini.

È Gesù il povero, il mite, il misericordioso, il puro di cuore, perseguitato per la giustizia, insultato e condotto fino al patibolo più infame per manifestare con chiara evidenza il volto di un Dio che è amore: “La somma delle beatitudini evangeliche è l’autobiografia di Gesù”, afferma la nostra Madre Fondatrice, Maria Oliva Bonaldo, che ne descrive i tratti in una sua lettera prima di raggiungere il cielo.

La Parola ci pone dunque di fronte a due passi indispensabili per progredire nel cammino della nostra fede: il primo consiste nel domandarci se il volto del Signore che stiamo seguendo coincide con il volto che emerge dalle beatitudini; il secondo ci permette di riconoscere che tipo di relazione abbiamo con Lui.

Questi due passaggi sono davvero il segreto per entrare sempre più in profondità nella relazione con il Signore e per instaurare con Lui un dialogo continuo che coinvolga tutta la nostra vita in quasiasi situazione ci troviamo. Questo è il desiderio di Dio per noi ed è anche il nostro desiderio più profondo: solo in un continuo dialogo con il Dio che ci ha creato per amore, e continua a nutrire la nostra vita del suo amore, possiamo dare significato alle situazioni complesse che ci troviamo a vivere; possiamo affrontare le inevitabili fatiche e sofferenze sorretti dalla Sua mano amorosa e paterna.

Tutto questo la legge non è capace di farlo.

Anzi, come aveva ben compreso s. Paolo (cf Rom 7,1-27), essa ci pone di fronte al nostro limite e alla nostra incapacità di rispettarla con le sole nostre forze, gettandoci nella delusione verso noi stessi e le circostanze che ci avviliscono. La consapevolezza della presenza costante e premurosa del Signore invece ci permette di crescere nella relazione di amicizia con Lui e di instaurare un legame dal quale attingere l’energia necessaria per una vita piena, anche nelle difficoltà.

Ma c’è un passaggio ulteriore da considerare: l’assenza di questa relazione fondante con il Dio della vita rende praticamente impossibile rispondere alle richieste che il vangelo di questa domenica indica a chi vuole seguire Gesù, a chi vuole vivere pienamente le esigenze del battesimo. Il testo di Matteo infatti sottolinea che non è sufficiente limitarsi a non uccidere: ci viene chiesto addirittura di non chiamare stupido il fratello e in modo riassuntivo e lapidario che se la nostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, cioè se non prenderemo sul serio le esigenze di una vita vissuta per e con amore, avremo fallito il nostro obiettivo: vivere da figli nel regno che il Padre ci ha già preparato.

L’amore dunque con il quale ci viene chiesto di andare verso il fratello, anche quello che ha qualcosa contro di noi, è possibile solo se si è fatta l’esperienza di essere amati allo stesso modo. È per questo che Gesù può indicarci queste esigenze ardue e per certi versi umanamente impossibili per le nostre forze: Egli per primo ci ha amato così e il suo amore ci rende capaci di fare altrettanto. Comprendiamo allora che la sfida più grande, che diventa la cartina al tornasole per la nostra fede, è la vita di relazione con il Signore della nostra vita.

Nella misura in cui ci apriamo ad accogliere il suo quotidiano amore, fatto di gesti piccoli e ordinari, con i quali rende speciale la nostra giornata, saremo in grado di accogliere i fratelli andando loro incontro con la stessa delicata attenzione. Amare così è possibile e c’è un solo modo per verificarlo: vivere di questo amore!

 Fonte:https://www.figliedellachiesa.org/