II Domenica di Quaresima (Anno A) (05/03/2023)
Nel tempo forte che stiamo vivendo della Quaresima, la Chiesa ci propone quella che sembra essere una sosta, una sorta di pausa nel cammino impegnativo verso Gerusalemme: il brano della trasfigurazione. Per capire e cogliere il vero significato di questo episodio è però importante approfondire il contesto in cui ci troviamo, perché da questo dipende anche il significato della proposta liturgica. Il versetto chiave che ci apre al senso di tutto ciò è il seguente: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”(Mt 17,5). C’è un invito pressante, deciso, supplicante: “Ascoltatelo!” Ma che cosa, chi dobbiamo ascoltare? Il brano del Vangelo si trova al capitolo 17. Siamo già ben inoltrati verso il culmine della vita di Gesù. Il passo è ormai risoluto e lo dimostra il fatto che proprio nel capitolo precedente ha proclamato ai suoi discepoli il primo annuncio della sua passione. Come ben sappiamo, questo non è stato accolto con tanto entusiasmo perché lo stesso Pietro che poco prima aveva riconosciuto il Signore come “il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16), subito dopo lo aveva rimproverato adducendo che mai poteva essere ucciso, diventando però scandalo, pietra d’inciampo per il progetto di Dio. Il Signore si è trovato pertanto di fronte ad un sonoro rifiuto del progetto che il Padre gli sta preparando. Il cammino che sta percorrendo Gesù con i suoi è in fondo, quello che percorriamo non solo in Quaresima ma lungo l’arco di tutta la nostra esistenza: andiamo verso Gerusalemme vivendo in noi l’impegnativa speranza della risurrezione dopo la morte, dopo ogni morte. Quindi anche noi ci possiamo immedesimare in Pietro che di fronte ai tanti scandali della vita (malattie, sofferenze, morte, ingiustizie), ci poniamo in netta opposizione, proponendo vie meno avverse.
L’altro contesto già ribadito è quello della Quaresima. Ritornando alla domanda che ha aperto questa riflessione ci richiediamo: che cosa c’entra questo episodio della trasfigurazione? Quanto abbiamo appena detto ci fa capire che questo brano non è posto qui per farci ricordare e vivere un momento glorioso della vita di Gesù, questo infatti contrasterebbe con il contesto appena descritto. La sottolineatura che la Chiesa ci propone è l’invito a porre maggiore attenzione all’ascolto di ciò che Gesù sta dicendo e sta compiendo. La rivelazione si esprime proprio attraverso “eventi e parole intimamente connessi” (cfr. Dei Verbum, 2) e che qui stanno raggiungendo il culmine. Il prefazio proposto per questa domenica ci invita a pregare con queste parole: “Egli, dopo aver dato ai discepoli l’annunzio della sua morte, sul santo monte manifestò la sua gloria e chiamando a testimoni la legge e i profeti indicò agli apostoli che solo attraverso la passione possiamo giungere al trionfo della risurrezione.” Ecco allora il cuore della proposta: solo attraverso la passione, solo nell’accoglienza della croce possiamo giungere al trionfo della risurrezione. Questo lo viviamo ogni qualvolta assumiamo gli stessi atteggiamenti di Abramo, obbedendo a quel “vattene dalla tua terra” (cfr. prima lettura, Gen 12), da ciò che ci dà sicurezza, da tutto quello che è più connaturale e spontaneo e crediamo alla promessa di Dio che è viva e vera a volte anche contro ogni evidenza! Noi abbiamo fatto esperienza della salvezza, di questa morte che porta in sé, nascosto un seme di vita nuova? Solo così possiamo implorare e perseguire in uno stile pasquale che san Paolo, nella seconda lettura, insegna a Timoteo: “soffri con me per il Vangelo” (2Tm 1,8b). È un invito questo ad accogliere la grazia di Dio per vivere in noi la redenzione, mistero di passione morte e risurrezione. Ciò che ci permette di rimanere in questo stile di vita pasquale (o battesimale) è la relazione, non una qualsiasi ma quella con il nostro Redentore. È Lui la fonte alla quale attingere e nella quale rimanere per poter andare oltre la nostra natura egocentrica.
Nel brano di questa domenica emerge un dato importante: il Figlio non si racconta da sé, bensì egli lascia che sia un Altro a rivelarlo. È il Padre che lo indica come il Figlio amato. Questo ci dice che il vero fondamento che dà stabilità alla vita non è il costruirsi da sé, secondo uno stile da self-made-man, apparentemente glorioso, ma permettendo che sia un Altro a dirci chi siamo, consegnandoci la nostra vera identità. Ci è più facile voler trovare noi le definizioni che ci caratterizzano, magari attraverso ciò che facciamo, alle amicizie “importanti” che abbiamo, i likes che riceviamo sui social, rischiando di cadere nella trappola di pensare che sia l’approvazione che diamo o riceviamo dagli altri a farci stare in piedi … attraverso elementi che però non hanno in loro stessi stabilità e durata. Solo se accogliamo di essere “definiti” dal Padre nel Figlio e se accogliamo in noi questa realtà, potremo vivere ogni occasione bella o brutta, semplice o faticosa, come via per incarnare in noi il mistero pasquale. Sentiamo risuonare in noi le parole del Padre e rimaniamo a contemplare il Figlio che non si dice da sé! Come sarebbe stato diverso se Gesù si fosse auto-dichiarato “l’amato del Padre” e come è invece bello e caloroso sentire che è il Padre stesso a svelare l’amore per il Figlio!
Per la riflessione personale
- Ci sentiamo quotidianamente in cammino con e in Cristo verso Gerusalemme per vivere in noi il mistero pasquale?
- Siamo disposti a lasciarci definire dal Padre, a modo suo, con i tempi suoi o, al contrario, preferiamo vie veloci di auto-determinazione?
Fonte:https://www.figliedellachiesa.org/it