IV Domenica di Quaresima – Laetare (Anno A) (19/03/2023)
La vicenda del cieco nato è uno dei sette ‘segni’ del IV vangelo: sono tutti orientati al grande segno della morte e risurrezione di Gesù: non sono detti ‘miracoli’ ma ‘segni’: hanno funzione di guida all’incontro con Gesù. La sua morte è il segno più grande dell’amore.
L’incontro con il cieco nato è di sabato, al principio dell’autunno, nel quadro della festa delle capanne, memoria del cammino nel deserto di Israele. Il sommo sacerdote si recava alla piscina di Siloe per attingere acqua da versare poi sull’altare dei sacrifici e le mura di Gerusalemme venivano illuminate con fuochi di ogni tipo: uno spettacolo di luminaria avvolgeva la città nel buio.
Le acque di Siloe in Isaia sono simbolo dell’affidamento al Signore in contrasto con le abbondanti acque dell’Eufrate simbolo della potenza degli imperi e della loro violenza (Is 8,5-7).
Il brano presenta un dialogo di Gesù con ‘i Giudei’, identificato come paradigma di chi vive la religione come sistema di potere, con una mentalità chiusa e di esclusione. Gesù presenta un altro orizzonte: per lui la malattia non è punizione di Dio né retribuzione per un peccato ma è un male da combattere. L’agire di Dio non va racchiuso negli schemi asfittici della contabilità umana. Gesù è venuto per sanare da ogni male e questo è il progetto di Dio dare la vita: “Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo” (vv.3-5).
La guarigione del cieco è presentata come azione laboriosa: Gesù infrange la legge del riposo nel giorno di sabato (v.13). Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato proprio perché il Dio del sabato è il Dio ‘amante della vita’ (vv.6-7).
Il cieco non solo recupera la vista ma vive un cammino di apertura alla fede come nuovo modo di vedere: diviene così figura di ogni credente che si apre a vedere in modo nuovo. Al centro sta l’incontro con Gesù.
Il cieco guarito viene poi sottoposto ad un pressante esame dai giudei: testimonia che i suoi occhi ‘sono stati aperti’ e riconosce Gesù come inviato di Dio. Scorge in lui il profeta, ‘ma i Giudei non vollero credere….’ (v.18) E chiamano i genitori. Nonostante le minacce di essere escluso, giunge a professare la sua fiducia: ‘proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi’ (v.30) Quando il cieco viene cacciato fuori, Gesù gli si fa accanto, e lo accompagna ad un incontro nuovo: ‘Tu credi nel Figlio dell’uomo?
L’itinerario del cieco è così un percorso di riconoscimento ed incontro: al principio c’è un dono da accogliere. Dal buio di un modo di concepire di Dio secondo una modalità religiosa opprimente si apre alla fede come incontro.
Mentre gli uomini religiosi sono ciechi il cieco ‘cacciato fuori’ si apre al vedere: la luce è l’incontro con Gesù stesso al quale egli affida la sua vita: ‘Io credo in te Signore’.
Alessandro Cortesi op
El Greco e il cieco nato
L’episodio dell’incontro di Gesù con il cieco nato fu caro a El Greco, pittore di origini greche, nato a Creta nel 1541, giunto in Italia prima a Venezia nel 1567 e poi trasferitosi a Roma nel 1570 venendo a contato con gli artisti del mondo romano del tempo e godendo della stima del cardinal Alessandro Farnese. A partire dal 1577 si spostò in Spagna svolgendo attività artistica prima a Madrid poi a Toledo dove morì nel 1614.
Tre sono le versioni del tema dell’incontro di Gesù con il cieco ripreso dal capitolo 9 del IV vangelo. La prima è quella della tela di Dresda, collocabile nel primo periodo di Venezia in cui El Greco conobbe lo stile di Tiziano e Tintoretto, con la sensibilità al colore e alla prospettiva tipici della pittura veneziana del periodo.

La scena è raffigurata con davanti la piscina di Siloe (con rinvio al termine ‘Inviato’: è Gesù l’inviato del Padre). Gesù invia il cieco all’acqua in obbedienza al significato profondo del sabato che è giorno di liberazione e di dono della alleanza con il Dio vicino. L’incontro avviene infatti di sabato nel quadro della festa delle Capanne, memoria del cammino di Israele nel deserto.
Sulla destra del quadro gruppi di persone discutono animatamente e il loro movimento esprime l’interrogarsi, il dubbio, l’animazione a fronte del segno di Gesù mente apre gli occhi del cieco. In contrasto con tale agitazione sulla destra nella parte sinistra un personaggio alle spalle del cieco nato si china con un chiaro intento di vedere e di avvicinarsi al cieco che sta per essere guarito. E’ forse simbolo di ogni credente che cerca di comprendere e di avvicinarsi per partecipare ad un dono di guarigione e di luce.

In un’altra versione dell’episodio, conservata a Parma, datata al 1570, El Greco presenta la scena ponendo i protagonisti in primo piano al centro della scena. Si intravede in un secondo piano la piscina di Siloe e sullo sfondo una prospettiva composta di edifici classici. La luce investe il volto e il corpo di Gesù, vestito con un abito rosso e un mantello blu. Le sue braccia si aprono con una mano a sorreggere il braccio del cieco chinato davanti a lui e con l’altra a toccarne gli occhi. Il bastone, sostegno e sicurezza, lasciato per terra dal cieco è segno di superamento della cecità. C’è anche in questa tela la presenza di un personaggio che si china a sorreggere il cieco e con le sue braccia lo accompagna ad alzarsi. Un accenno all’importanza di una presenza di compagnia proprio nel cammino di essere discepoli, al seguito di Gesù incontrato come colui che porta luce all’esistenza. E’ interessante poi scorgere forse un intento di unire nella medesima rappresentazione due momenti dell’episodio: infatti sulla sinistra il personaggio raffigurato di spalle potrebbe essere interpretato come il medesimo cieco dopo la guarigione. Sembra infatti vestito allo stesso modo del cieco: con il suo braccio rivolto verso l’alto è ritratto nel movimento di invitare altri ad alzare lo sguardo verso un punto indefinito, in alto. Solo uno dei personaggi che veste un copricapo di tipo orientale si volge a guardare verso l’alto.

Nella terza versione dell’episodio, una tela conservata a New York, considerata appartenere all’epoca dell’arrivo di El Greco in Spagna, in primo piano sono raffigurati due personaggi, forse i genitori del cieco. Gesù prende per mano il cieco nato e gli tocca gli occhi donandogli nuova luce. Forse anche in questa tela, come probabilmente nella seconda, la narrazione è disposta sul medesimo piano, ma rappresenta diversi momenti. Appare infatti una somiglianza tra il cieco al centro, il personaggio alla sua sinistra che indica verso l’alto e un personaggio a destra che discute con un gruppo che gli fa ressa davanti.
Ancora si può forse leggere questi personaggi quali indicazione molteplice della medesima figura del cieco nato, che una volta guarito, giunge a maturare una luce nuova dentro di sé che lo apre a vedere Gesù non solo come profeta ma come Signore kyrios. Sembra che l’inquietudine che attraversa il gruppo alla destra della tela sia l’interrogativo sull’essere capaci di vedere: «Siamo ciechi anche noi?» (Gv 9,40).
Il cieco nato compie un cammino verso un vedere che si connota come apertura ad una luce che è la persona stessa di Gesù, che lo guida a dire: “Credo, Signore!” E si prostra davanti a lui (Gv 9,38). Diviene così testimone presso gli altri della scoperta da lui vissuta. Il progressivo accentuarsi dei colori degli abiti del personaggio nel dipinto, a differenza dei toni meno vividi degli abiti di tutti gli altri è forse segno di questa trasmissione di luce che dice il coinvolgimento della vita e si riflette nel dipinto nella vivezza del colore.
Alessandro Cortesi op