I lettura: Ez 37,12-14
II lettura: Rm 8,8-11
Vangelo: Gv 11,1-45 🏠
- Testi di riferimento: Gen 2,7; Sal 88,11; Is 25,8; 26,19; Ez 11,19; 36,27; Mc 5,36-42; Gv 3,34;
5,21.24-29; 6,39-40.44.54.63; 8,51; 10,10; 14,6.19; At 26,8; Rm 4,17; 6,4-5; 8,10; 1Cor 15,21-
22.45; 2Cor 4,16; Gal 4,6; 5,24; 6,15; Ef 2,5-6; Col 2,12; 3,1.4; Tt 3,5-6; Eb 11,35; 1Pt 3,18; 1Gv
1,1-2; 3,14; 4,9; 5,11-12.20; Ap 1,18; 20,5-6
- Il cammino verso la Pasqua segue in questo anno “A” lo stesso cammino di Cristo e del Vangelo
di Giovanni. Con la sua Pasqua Gesù va a “portare alla luce la vita e l’immortalità” (2Tm 1,10).
Prepararsi per la Pasqua durante il tempo di quaresima significa percorrere il cammino della fede
per giungere a credere che in Cristo si trova la vita in pienezza. Così con il brano evangelico odierno il tema della vita che si riceve attraverso la fede in Cristo raggiunge il suo culmine con il ritorno
in vita di Lazzaro e la proclamazione di Gesù riguardo a se stesso come la vita e la risurrezione. Gesù compie un segno con il quale mostra il suo potere di strappare gli uomini alla morte. E di strapparli definitivamente. Certamente Lazzaro è tornato a morire. Ma, appunto, quel miracolo era soltanto un segno di qualcosa di più grande, qualcosa che Gesù esprime nel suo dialogo con Marta. - La morte.
- La fine di ogni speranza. Come sappiamo, soprattutto nel Vangelo di Giovanni i miracoli di Gesù
hanno valore di “segno”, in quanto vogliono in-segnare qualcosa che va oltre al miracolo. Un segno
è importante per il suo significato; ed è questo che occorre cogliere. Per questo nel brano di Vangelo odierno la cosa curiosa è che Gesù aspetta che Lazzaro muoia. Le sorelle avrebbero voluto che
Gesù arrivasse prima che morisse per poterlo guarire, e sono deluse che sia arrivato tardi. La morte
infatti rappresenta la fine di ogni speranza. Noi diciamo “finché c’è vita c’è speranza”, nel senso
che nel momento in cui sopraggiunge la morte ogni speranza svanisce, anche quella relativa ad un
possibile intervento divino. Finché c’è vita, anche in una situazione umanamente insolubile, si può
ancora sperare in un miracolo. Ma nel momento in cui la morte sopraggiunge nemmeno Dio – pensiamo noi – può fare più nulla. In fondo riteniamo la morte più forte di Dio. Nonostante tutta la nostra supposta fede in una vita ultraterrena, in realtà consideriamo la morte come la fine di tutto. Anche per i cosiddetti credenti la morte si presenta come una realtà invincibile. E anche per tanti morti
esistenziali, per tante persone che si trovano in situazioni “disperate”, possiamo pensare che ormai
non ci sia più nulla da fare. Di fatto esistono situazioni che riteniamo impossibili da cambiare anche
per Dio: «Compi tu forse prodigi per i morti?» (Sal 88,11). Eppure niente è impossibile per Dio (Lc
1,37). La potenza di Dio si manifesta pienamente nel ridare la vita ai morti (Mc 12,24). Gesù aspetta che Lazzaro si “addormenti” (v. 11) prima di andare da lui, per manifestare la gloria di Dio (v. 4). - Per capire dunque il “segno” (cfr. Gv 12,18) della risurrezione di Lazzaro occorre tenere presente
che per la mentalità biblica la morte non è soltanto quel punto che si trova all’orizzonte della nostra
vita, al quale arriveremo quando la nostra esistenza terrena sarà conclusa. L’uomo biblico è consapevole che la morte è una realtà che ha a che fare con la vita quotidiana, con l’oggi della nostra esistenza. C’è una morte che è presente già nella mia esistenza attuale e ne compromette la riuscita.
Alcuni esempi. In Sap 2,24 si afferma: «Per invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne
fanno esperienza quelli che appartengono a lui». Vale a dire: tutti subiscono la morte fisica, ma c’è
una morte che è già sperimentata da quelli che appartengono al diavolo. Gesù dice: «Lascia che i
morti seppelliscano i loro morti» (Mt 8,22), intendendo che ci sono persone vive che tuttavia sono
morte. In Ef 2,5-6 si ricorda che «noi eravamo morti per i nostri peccati» (vedi anche seconda lettura odierna), ma che ora siamo stati risuscitati. Dunque esiste una morte che è presente già nella nostra esistenza terrena, che possiamo chiamare “esistenziale”. Possiamo chiederci: quand’è esattamente che ci sentiamo morti dentro? E possiamo rispondere con chiara consapevolezza: ogni volta
che non ci sentiamo amati. Ogni volta che subiamo dei torti, delle ingiustizie, dei tradimenti, delle
ingratitudini, avvertiamo una morte interiore che è molto reale; così reale e così insopportabile che
per alcuni è preferibile quella fisica. Ma in realtà c’è un motivo più profondo che causa quella nostra “morte”. Il motivo non è tanto quello di non sentirci amati, ma perché non riusciamo ad amare
quando ci sentiamo colpiti. Infatti, «chi non ama rimane nella morte» (1Gv 3,14), perché noi siamo
stati creati per amare. Tale incapacità di amare deriva dal peccato che abita in noi (Rm 7,17). La Risurrezione di cui parla Gesù ha a che fare dunque non soltanto con quella dei corpi, alla fine dei
tempi, ma anche e innanzitutto con quella che mi attanaglia ora e mi impedisce di vivere veramente,
in pienezza.
- Parallelo con Gv 5,19-30.
- Il Vangelo odierno riceve luce da Gv 5,19-30. Senza entrare in tanti particolari, possiamo notare
che in entrambi i testi si parla del rapporto di Gesù con il Padre, del quale egli compie le opere. E
come il Padre dà la vita ai morti, così anche il Figlio. In Gv 11 Gesù dimostra questo potere suo e
del Padre. Inoltre in entrambi i testi si sottolinea il potere della parola di Gesù. Egli afferma che
«chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato ha la vita eterna» (5,24), e che i morti
ascolteranno la sua voce e vivranno (5,25). In Gv 11 è proprio la voce di Cristo (“Lazzaro vieni fuori”), che chiama alla vita il morto. La parola di Cristo ha il potere di dare la vita e di mantenere in
vita: «Chi osserva la mia parola non vedrà mai la morte» (Gv 8,51). Dunque la vita che Cristo ha il
potere di comunicare si riceve attraverso la fede in lui e nella sua parola. - Due vite e due morti. Anche in Gv 5 si parla di due tipi di vita che scaturiscono da Cristo: una
nuova vita che riceveranno i morti alla risurrezione finale (v. 28), e una vita che ricevono i morti
ora, per la fede in Cristo. In Gv 5,25 infatti si dice che «i morti ascolteranno la voce di Figlio di Dio
e quelli che l’avranno ascoltata (sottinteso “con fede”) vivranno». In questo caso si tratta ovviamente di una morte non fisica, perché i morti che stanno al cimitero non possono ascoltare nulla. È
appunto quel tipo di morte che sopra abbiamo chiamato “esistenziale”. E sembra che sia questo tipo
di morte a cui Cristo interessa innanzitutto porre rimedio. Parafrasando il libro dell’Apocalisse potremmo dire che chi ha ricevuto la prima risurrezione non andrà incontro alla seconda morte (Ap
20,5-6). La stessa idea appare in Gv 11. Nei versetti 23-26 Gesù parla della risurrezione e riceve da
Marta una professione di fede relativa alla risurrezione finale. Ma Gesù approfondisce il senso delle
sue parole dicendo che chi crede in lui «non morirà in eterno». L’associazione “non … in eterno”
significa semplicemente “mai”; vale a dire: chi vive credendo in Cristo “non morirà mai”. L’affermazione ha dell’incredibile, ma ovviamente va intesa nello stesso senso di Gv 5,25. C’è una vita
che si ottiene per la fede in Cristo che non verrà mai interrotta. Quella morte esistenziale presente
all’interno della nostra vita terrena viene definitivamente sconfitta dalla vita nuova che Cristo ci dona. Gesù è venuto non soltanto perché gli uomini abbiano la vita, ma la abbiano “in sovrabbondanza” (Gv 10,10). La vita che viene da Cristo (come simboleggiava l’acqua che non viene mai meno
di Gv 4,14), va oltre ogni limite di morte. Poiché Cristo non è soltanto colui che ci risusciterà
nell’ultimo giorno (Gv 6,39.40.44.54), ma è egli stesso la risurrezione e la vita, chi lo ha in sé possiede fin d’ora un principio di vita eterna (Gv 5,24; 10,28) che gli permette di non morire mai. Ha
fin d’ora un anticipo della risurrezione finale. Gesù è venuto per dare la vita agli uomini e darla in
abbondanza (Gv 10,10). - Se abbiamo Cristo in noi abbiamo un principio di vita eterna e siamo già passati dalla morte alla
vita (Gv 5,24), abbiamo già fatto pasqua. Questa “risurrezione”, questa vita eterna che abita in chi
crede in Cristo, si manifesta nel fatto che si è in grado di amare. Perciò «sappiamo di essere passati
dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli». Così che possiamo dire con san Cipriano: «Colui che
ha vinto una volta la morte per noi, la vince sempre in noi». Quelle innumerevoli paure che condizionano la nostra esistenza quotidiana e ci impediscono di essere veramente felici, sono annullate
dalla presenza della vita interminabile che ci viene dalla presenza di Cristo risorto in noi. E anche se
dovremo comunque subire la morte fisica («a causa del peccato»: Rm 8,10), chi ha ricevuto questo
principio di vita eterna va incontro ad essa come un “addormentarsi” (Gv 11,11), in attesa che Cristo ci risvegli.
- È lo Spirito che dà la vita. Le prime due letture mettono in risalto l’importanza dello Spirito nel
dare la vita. La presenza di Cristo risorto in noi, e con lui la risurrezione e la vita, ci viene dallo Spirito Santo. Come si dice nella seconda lettura: «Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai
morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali,
per mezzo dello Spirito che abita in voi» (Rm 8,11). Per mezzo dello Spirito la vita di Cristo risorto
viene comunicata ai credenti in lui. Dopo la sua risurrezione Gesù è stato costituito “Spirito datore
di vita” (1Cor 15,45). Gli apostoli hanno sperimentato l’efficacia di questa nuova vita che hanno ricevuto dallo Spirito il giorno di Pentecoste, perché hanno potuto vincere la paura della morte che
prima aveva loro impedito di seguire Cristo. Se in noi entra la vita eterna, la risurrezione in persona,
allora la nostra morte, come le tenebre di fronte alla luce, scompare. La risurrezione è la persona
stessa di Cristo risorto che appare in rimane in mezzo ai suoi, per mezzo del suo Spirito, e cambia,
come nel giorno di Pasqua per i discepoli, la paura in gioia, la morte in vita (Gv 20,19-23). Nessuna
realtà umana può dare all’uomo questa vita vera, eterna, abbondante, che supera la barriera della
morte. Per questa la carne non giova a nulla; è lo Spirito che dà la vita. Le parole di Cristo sono spirito e vita (Gv 6,63).