V Domenica di Quaresima (Anno A)  (26/03/2023)

Vangelo: Gv 11,1-45  🏠

Il miracolo, il segno su Lazzaro, questo segno di risurrezione, avviene dentro una bellissima atmosfera di sentimenti, di emozioni. «Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro», «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato», «Signore, se tu fossi stato qui», «Gesù, quando la vide piangere si commosse profondamente», «Gesù scoppiò in pianto». Ci hanno insegnato a identificare la virtù con l’assenza di sentimenti, di passione, di emozioni, e a pensare la fede in Dio contrassegnata da una certa indifferenza verso gli uomini. Il risultato è l’analfabetismo dell’amore, deformazione della fede, del cristianesimo. Ma il Gesù del racconto segna la distanza abissale dalla religiosità impenetrabile all’umanità.
 
Alla risurrezione si può solo credere, ma la forza della risurrezione è l’amore. Se amare vuol dire dare la propria vita per chi si ama, tale dono di sé dà vita all’altro, lo fa risorgere.
La fede e l’amore di Gesù si concretizzano nella sua parola nei confronti del morto: «Lazzaro, vieni fuori!». Paradosso e pazzia di gridare a chi non può ascoltare: è lo “sproposito” dell’umanissimo amore che legava Gesù a Lazzaro. Quanti quotidiani amori gridano a un morto, e hanno la forza di dargli nuova vita!
 
Mi colpisce il paradosso della fede che va insieme al pianto. Piangono le sorelle dopo aver confessato la fede in Gesù, il loro Maestro, il loro amico. Piange Gesù, eppure sapeva che il Padre sempre l’ascolta. Tu credi, eppure piangi. Il dolore per la morte di una persona cara non significa una assenza di fede: c’è fede in chi si ama.
Gesù si fa carico della morte e soffre per l’amico Lazzaro che è morto. Ma subito dopo lo fa risorgere: fa anche della morte una vita, vivifica la morte. Come il suo corpo risorto porta i segni della morte che ha patito (cfr. Gv 20,19-29), così la morte a in sé i segni della risurrezione. Così, in molte rappresentazioni italiane del crocifisso del tardo medioevo (come quella di San Damiano), Gesù in croce è già risorto, con gli occhi aperti e il corpo diritto, non piegato dalla sofferenza e dalla morte.
 
Un altro paradosso è che, in questo brano, l’oggi e il futuro sono insieme. A Marta che usa il futuro («Mio fratello risorgerà»), Gesù risponde usando il presente: «Io sono (oggi sono) la risurrezione e la vita». Anche noi tendiamo a dire: «Cristo è risorto… anche noi risorgeremo». E diciamo una grande verità. Ma lasciamo tra quel passato «è risorto» e quel futuro «risorgeremo» un vuoto, il presente, che così resta orfano di risurrezione. Mentre Gesù dice: non rimandare tutto al futuro. Sei tu, Marta, oggi, che devi risuscitare. E io oggi per te, dentro di te, sono risurrezione e vita. Sei tu da sciogliere dentro, da tutto ciò che ti trattiene, dalle tue delusioni, dalle tue stanchezze. Non lasciare vuoto il nostro oggi, rimandando tutto al futuro. L’oggi e il domani della risurrezione vanno insieme.
Questo oggi della risurrezione ci rinvia alla prima Lettura, dove la morte appare un evento comunitario e storico: è la situazione di esilio del popolo a Babilonia. La risurrezione non potrà essere che un ritorno in terra d’Israele. Oggi l’esilio è dato dalla negazione di interi popoli, vittime della guerra, della fame, di tremende oppressioni e violenze, di negazione dei diritti fondamentali, di pregiudizi e di rifiuti. Quindi è il cuore della storia di oggi che deve risorgere. La risurrezione di Gesù non è semplicemente un evento passato, né la risurrezione è il recupero finale e definitivo della vicenda umana alla fine dei tempi. Anche oggi la storia è nelle mani di Dio e della vita che Egli dona alla morte di tale storia.
Gesù ama, allo stesso modo dell’amico Lazzaro, questo nostro mondo, morto o moribondo nel male che compie, nell’infelicità che crea in tante povere vite. E Gesù, oggi, lo chiama fuori da tale sepolcro. Certo, tutto si compirà solo alla fine, ma dobbiamo credere e praticare la vita nel presente di tante morti. Pacificare gli animi, rendere giustizia agli oppressi, condividere i beni, prendersi cura dei deboli, interessarsi degli altri sono solo alcune delle risurrezioni che oggi devono accadere, perché il Signore Gesù sia presente e all’opera in questo mondo secondo il suo amore e la sua fede nella risurrezione.
 
La vittoria di Gesù sulla morte è in tre atti. Il primo è togliere la pietra: i sensi di colpa, l’incapacità di perdonare a se stessi e agli altri, dentro una memoria amara del male ricevuto o dato. Secondo atto: «Lazzaro, vieni fuori!». Fuori dal sepolcro dei rimpianti e delle delusioni, del guardare solo a se stesso, per sentirti il centro delle cose. Infine: «Liberatelo e lasciatelo andare». La risurrezione non è una ripresa della vita precedente, ma una pienezza di umanità che non si può trattenere, limitare, oscurare. Il grido di tanta umanità oggi oppressa e violentata è un grido di risurrezione che attende la Pasqua.
In questo ambito di interpretazione, nella seconda Lettura la risurrezione è presentata da Paolo come un evento spirituale. Lo Spirito fa risorgere il credente, perché lo fa passare (Pasqua) dalla vita «nella carne», cioè dall’egoismo, alla vita «in Cristo». C’è il rischio di una autosufficienza egoistica, anche delle proprie opere religiose. Ma lo Spirito ha la stessa forza della parola di Gesù dinanzi al sepolcro di Lazzaro: può perforare le chiusure individualistiche e venire ad abitare nel cuore umano, rendendolo quindi abitazione di Dio, e così creare una vita nuova.
 
Alberto Vianello