Seconda Lettura
Domenica delle Palme
Fil 2,6-11
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (2,6-11)
Cristo umiliò se stesso, per questo Dio lo esaltò.
6Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, 7 ma svuotò se
stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, 8
umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.
9 Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10 perché nel nome di Gesù ogni
ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11 e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di
Dio Padre.
Collocazione del brano
Questo brano di Paolo è uno dei tre inni cristologici che l’Apostolo riprende dalla prassi liturgica delle prime
comunità cristiane e introduce nelle sue argomentazioni. In particolare in questa lettera, scritta dal carcere, egli
esorta la comunità di Filippi ad essere concordi e compatti davanti alle persecuzioni. Solo così essi potranno
superare la prova e vincere le persecuzioni. Paolo porta loro l’esempio di Gesù che non aveva mantenuto come
motivo di vanto la propria natura divina. Nella liturgia di oggi questo inno è appropriato per introdurci al mistero
della morte di Cristo e alla sua glorificazione.
Lectio
6 Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio,
L’inno si apre ricordando le caratteristiche peculiari di Gesù. Egli era (ed è) a immagine di Dio. Riprende la
condizione di Adamo prima del peccato originale, l’uomo perfetto, creato ad immagine di Dio. Gesù però a
differenza di Adamo non volle fare di questa sua prerogativa un privilegio esclusivo, un qualcosa di cui
approfittare lui solo.
7 ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto
riconosciuto come uomo,
Gesù ha rinunciato alla sua posizione invidiabile, divenendo come tutti gli uomini, fragili e mortali. Su questo
aspetto l’inno insiste ricorrendo a continue antitesi. Gesù assume una condizione di servo, come il servo di Jahvè
che ha svuotato se stesso.
8 umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.
Diventò corruttibile come l’uomo che schiavo del peccato diviene preda della morte. La sua obbedienza lo porta
sempre più in basso, fino alla morte. Non solo alla morte, ma a una morte infamante, come la morte sulla croce, la
morte di un malfattore.
9 Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome,
Però la risposta di Dio non si fa aspettare. Quanto più Gesù si è umiliato, tanto più Dio lo ha esaltato (anche qui
troviamo il riferimento al servo di Jahvè di Isaia). Gli ha dato un nome illustre, una dignità incomparabile.
10 perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11 e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.
La gloria che Gesù ha ricevuto è talmente grande che ha sudditi in ogni dove, i quali si inginocchiano davanti a
Lui. L’autore dell’inno pensa a una liturgia cosmica escatologica: tutti saranno riuniti in Cristo e lo dichiareranno
Signore. Ma tutto questo si è realizzato grazie al suo svuotamento, alla sua obbedienza fino alla morte.
Meditiamo
- Quando l’uomo considera un privilegio il suo essere simile a Dio?
- Cosa significa per la mia vita “svuotare me stesso”?
- In cosa consiste l’esaltazione di quanti seguono Gesù nella sofferenza e nella croce?