II Domenica di Pasqua (Anno A)  (16/04/2023)

Vangelo: Gv 20,19-31

All’alba di quel primo giorno, sul far del mattino, erano state le donne a far visita al sepolcro, luogo del silenzio, della rassegnazione, dello sconforto. Animate da pietà e desiderose di compiere un gesto di umano rispetto per il loro Maestro crocifisso e sepolto, le donne – timorose – avevano rimesso piede in quel giardino dove nessuno mai era stato deposto.

Sappiamo cosa poi è successo.

Ma la sera di quello stesso giorno, quando la luce del giorno aveva ormai ceduto il passo all’oscurità, un altro sepolcro viene visitato.

Protagoniste non sono più le donne, né i discepoli, né nessun altro.

È Lui che fa visita a loro!

E lo sguardo del lettore da un sepolcro scavato nella pietra si posa su un altro sepolcro, costruito in un altro giardino.

È un sepolcro meno evidente ma non meno lugubre; non è fatto di pietra benché sia più pesante di ogni pietra. Non è scavato nella roccia ma nel cuore e nella coscienza di quelle donne e degli quegli uomini che si ritrovavano riuniti intorno ad un sogno andato in frantumi sul nudo legno di una croce. Un sepolcro allocato in un giardino dove fiorivano la paura, il disorientamento e la chiusura.

Giovanni non esita a dipingere così il gruppo dei discepoli (v.19). È una comunità ferita, mancante, frammentata. L’assenza di Giuda, la fuga degli altri, il rinnegamento di Pietro…possiamo immaginare lo smarrimento e la fatica dei giorni successivi agli eventi della passione.

Spesso la memoria è un fardello pesante con cui convivere!

Le conseguenze delle scelte fatte si stavano riversando sulla comunità che vacillava, traballava.

Non sempre è immediato rimanere insieme quando la vita ti porta per strade inaspettate, su percorsi in salita, faticosi e, il più delle volte, inattesi. Quel sepolcro visitato dal Risorto è segno ed icona di tutte quelle volte in cui nelle nostre comunità, nelle nostre famiglie, nelle nostre vite le cose non vanno come vorremmo, come ci aspettiamo; è il luogo delle fratture che attraversano i nostri progetti, il nostro impegno; è il luogo dove dimora ciò che ci allontana dai fratelli e dalle sorelle della nostra comunità. È il sepolcro dove abbiamo riposto ogni speranza rivelatasi inconcludente.

Ma al tramonto di quel primo giorno avviene ciò che già era accaduto all’alba.

Anche questo sepolcro nascosto viene aperto.

Nessuna pietra può rimanere come sigillo sulle nostre vite quando sfolgora il sole di Pasqua.

Proprio lì, in quel sepolcro pesante e senza via d’uscita, accade l’incontro.

Proprio lì, quando la paura e l’angoscia sembrano essere vittoriose.

Proprio lì, quando tutto dice chiusura, porte sbarrate, imprevisti.

Proprio lì, dove pensi che Dio non abbia diritto di cittadinanza, dove c’è proprio ciò che lo contraddice e dove pensi che mai e poi mai Egli potrebbe abitare, proprio lì Egli viene e prende dimora.

Nel punto della massima oscurità. Lì Egli nasce.

Lo abbiamo ritualizzato nell’inizio della solenne veglia pasquale ma è la possibilità reale e concreta di ogni esistenza: ogni morte, ogni dolore può trasformarsi in amore.

In mezzo, sottolinea l’evangelista.

In mezzo a ciò che stai vivendo, risuona l’annuncio della pace.

Che non è mero ottimismo, leggerezza d’animo o fuga compensatoria o consolatoria; no! La pace del Risorto è offerta di senso e di significato per tutto ciò che stai vivendo.

Nel mezzo delle tue contraddizioni, nel mezzo dei tuoi peccati, nel mezzo delle tante forme di morte che attanagliano la tua vita, si posa, come colomba, una proposta di senso e di bellezza. C’è una radice santa e nascosta in tutto ciò che viviamo, anche quando le pietre sono pesanti. C’è una libertà a cui siamo chiamati e che ancora non vediamo.

La pace del Risorto non è un generico benessere personale, appagante e anestetizzante. La pace del Risorto è fuoco che accende, che consuma, che purifica, che mette in risalto l’essenziale, che apre un cammino, una strada, un sentiero quando forse per tanto tempo, per troppo tempo, abbiamo dimorato nel riposo di una morte non fisica ma esistenziale, profonda, ugualmente fatale.

In mezzo a tutto ciò che vivi, anche se non lo senti più, risuona incessantemente il grido pasquale: Pace!!!!

In mezzo – lo ripete più volte l’evangelista (v. 19 e v. 26).

Non è a caso. Nessuna parola è lasciata lì per caso.

Come se la prima morte da cui risorgere è l’individualismo.

Non è data esperienza pasquale se non nella comunità, con quei fratelli e quelle sorelle (e non altri!) che la vita mi mette accanto. La luce del Risorto non brilla per i singoli, per le monadi. Il Risorto appare ai discepoli mentre erano riuniti. Appare nel mezzo del loro essere comunità, nel loro rimanere insieme, seppur legati dalla paura e dalla chiusura.

In mezzo significa che abbiamo bisogno dei fratelli e delle sorelle delle nostre comunità per poter continuare ad imparare a credere nella Risurrezione. Che gli altri non sono l’inferno, non sono i nemici ma l’unica strada che abbiamo per assaporare la luce del Risorto.

Proprio per questo, Pietro e gli altri, vinto il timore, usciranno dal quel luogo-sepolcro per incontrare tutte le genti presenti in quel momento a Gerusalemme (cfr. At 2,9ss). Succede sempre così a chi ascolta l’annunzio di Pasqua: non puoi trattenere per te il dono della pace, non ci riesci. Se è dono autentico, non riesci a stare fermo, agli occhi della maggioranza sembri un folle (cfr. At 2,13). La pace donata, non puoi non donarla. Ti rendi conto che essa – questa pace donata – si deve legare alla vita delle persone che incontri; la luce della Pasqua ti fa comprendere che la tua strada e quella degli altri hanno molto più in comune di quanto non si pensi; che le cose che dividono non sono così importanti come quelle che uniscono. E così non puoi fare altro che uscire, coinvolgerti, primerear (cfr. EG 24); non stai alla finestra ma ti rimbocchi le maniche; non ti fermi a guardare ma ti metti al lavoro per incontrare gli altri, tutti gli altri, cercando in loro ogni possibile traccia di bene.

È così la Pasqua. Si innerva nelle cose piccole. È silenziosa, non è sensazionale o spettacolare.

È fuoco nascosto ma non spento sotto la cenere che si spande ogni qualvolta percorriamo le strade della comunione, della condivisione, dell’accoglienza, dell’ospitalità.

La resurrezione definitiva che Dio donerà alla fine tempi donando nuova vita ai nostri copri mortali inizia già ora, già oggi ogni volta che usciamo dai nostri recinti; quando ci apriamo alla carità; inizia quando una persona dona il suo tempo per percorrere un tratto di strada insieme ad un’altra; quando ti dai da fare per rendere più vero, più giusto, più bello questo nostro mondo. Quando non stai a contare e a rendicontare la tua vita; quando esci, sempre e comunque; quando i tuoi occhi sanno vedere che Dio è già all’opera nella vita di tanti uomini e di tante donne che abitano con noi le strade di questa terra.

Lì è Pasqua. Forse non appariscente. Ma non per questo non reale.

Anzi, è davvero una nuova creazione (v. 22 – cfr. Gen 2,7).

Già ora.

Già qui.

È la Pasqua del Signore!

Fonte:https://www.omelie.org/