III Domenica di Pasqua (Anno A) (23/04/2023)
13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante
circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era
accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con
loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: “Che cosa sono questi discorsi che
state facendo tra voi lungo il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli
rispose: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. 19Domandò
loro: “Che cosa?”. Gli risposero: “Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in
parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato
per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe
liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune
donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo
corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è
vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non
l’hanno visto”. 25Disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non
bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. 27E, cominciando da Mosè e
da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma
essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Egli entrò per rimanere
con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora
si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: “Non
ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le
Scritture?”. 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli
altri che erano con loro, 34i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”. 35Ed essi
narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Collocazione del brano
Questo episodio dei discepoli di Emmaus è un racconto di apparizione piuttosto anomalo, ci porta
all’esperienza di Gesù risorto non più dei primi testimoni, ma delle generazioni successive. Apre l’era dei
discepoli come Teofilo (colui al quale Luca dedica il suo Vangelo e gli Atti degli Apostoli) di coloro che non
hanno avuto e non avranno il privilegio della presenza fisica di Gesù. E’ un racconto che Luca dedica alla sua
comunità, ma anche a tutti noi, per insegnarci come e quando possiamo incontrare il Signore, pur senza
vederlo con i nostri occhi.
Il racconto dei discepoli di Emmaus può essere suddiviso in due parti.
Nella prima parte (vv. 13-24) vi è una prospettiva di allontanamento. I due discepoli si allontanano da
Gerusalemme, sono divisi tra di loro (discutono animatamente: v. 17), vedono Gesù come un estraneo,
sono lontani dal capire cosa sia successo a Gerusalemme.
Nella seconda parte (vv. 25-35) gli opposti si avvicinano. Gesù diventa il protagonista dell’azione e spiega le
apparenti contraddizioni della storia di quegli ultimi giorni, assume il ruolo dell’ospite, riunisce i due attorno
alla tavola e si fa riconoscere nello spezzare il pane. Poi scompare, ma i due si sentono spinti a ritornare a
Gerusalemme e a ricongiungersi con gli Undici.
Lectio
13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus,
distante circa undici chilometri da Gerusalemme,
I due protagonisti di questo racconto erano “due di loro”, cioè “degli altri” che stavano insieme agli Undici e
hanno ricevuto l’annuncio della risurrezione da parte delle donne senza credervi (Lc 24,11). Il giorno di cui
si parla è dunque quello della risurrezione di Gesù, il primo della settimana, il giorno in cui Luca situa tutte
le apparizioni riferite nel suo vangelo. La destinazione dei due discepoli, Emmaus, non è un luogo inventato
da Luca, però la sua identificazione rimane ancora incerta. Si potrebbe identificare con Ammaous (Amwas),
che però è posta a 32,5 km da Gerusalemme, oppure con un altra località che dista dalla capitale proprio 11
km, però si chiama Qubeiheh. Questa è stata scelta nel Medioevo come Emmaus a motivo della distanza
esatta. E’ possibile che Luca avesse a sua disposizione una certa tradizione riguardante il nome della
località, senza però avere una conoscenza esatta dei luoghi e delle distanze.
14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano
insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro.
La conversazione dei due discepoli ha per oggetto gli eventi più recenti: la crocifissione di Gesù e la
scoperta della tomba vuota. Luca prepara il campo per il fatto che accadrà tra poco. Il lettore sa quello che i
protagonisti ignorano. E’ Gesù lo sconosciuto che si avvicina ai due discepoli. Loro non lo sanno. Questo
aspetto ha un significato nell’esistenza dei credenti: in compagnia del Risorto la vita degli uomini continua
nella sua semplicità, nella casualità e negli imprevisti. Il Risorto è con noi anche se non ce ne accorgiamo.
16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Nel loro stato di delusione, di mancanza di fede, i due discepoli non erano in grado di riconoscere la novità
che Gesù è risorto. Questo aumenta la suspence. Il passivo “erano impediti” può presupporre Dio come
complemento di agente (passivum divinum).
17Ed egli disse loro: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?”. Si
fermarono, col volto triste;
Lo sconosciuto si introduce nella discussione con una domanda. I due discepoli sono arrivati al punto più
basso del loro camminare insieme. Stanno quasi litigando, il verbo antiballein significa “ribattere lanciando
dardi” e suggerisce quindi una discussione animata. Quando si fermano hanno un aspetto cupo, sono tristi
o arrabbiati.
18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è
accaduto in questi giorni?”.
Luca ci rivela il nome di uno di loro: Cleopa. E’ un nome greco, abbreviazione di Cleopatro, da non
identificare con l’aramaico Clopa (Gv 19,25), cosa che peraltro è accaduta. Eusebio riferisce una tradizione
nella quale si dice che Clopa era fratello di Giuseppe e quindi zio di Gesù. L’altro discepolo resta
nell’anonimato, ma la tradizione ha cercato di dargli un nome. La domanda retorica di Cleopa permette al
narratore di presentare l’evento della passione e morte di Gesù come un fatto a conoscenza di tutti.
19Domandò loro: “Che cosa?”. Gli risposero: “Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente
in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo;
La domanda di Gesù porta i discepoli a pronunciare una risposta importante. Di fatto queste parole saranno
quelle usate dagli Apostoli per annunciare l’evento Gesù (è il kerigma). Ma a questo annuncio manca il
riferimento alle scritture e la notizia della risurrezione. La delusione per la morte scandalosa di Gesù non ha
portato i due discepoli ha dare un giudizio negativo nei suoi confronti. Gesù rimane un “uomo profeta”, non
un profeta qualsiasi, ma il profeta escatologico simile a Mosè secondo Dt 18,15.
20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo
hanno crocifisso.
La morte di Gesù, anche se avvenuta per crocifissione (la condanna peggiore) non è considerata segno di
maledizione divina. I discepoli l’attribuiscono alle autorità giudaiche di Gerusalemme, i sommi sacerdoti e i
capi, che i discepoli chiamano “nostri”, perché considerano Gesù come uno straniero. Cleopa e il suo
compagno riportano di fatto l’opinione di Luca: mentre il popolo era favorevole a Gesù, furono le autorità
giudaiche le dirette responsabili della crocifissione.
21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da
quando queste cose sono accadute.
La morte di Gesù ha messo fine alla speranza dei discepoli, una speranza di liberazione in chiave di
restaurazione nazionale: Gesù avrebbe dovuto essere anche un leader politico capace di cacciare i romani e
ristabilire il ruolo di Israele come luce delle nazioni. L’ultima affermazione del versetto è sottolineata con
enfasi: è il terzo giorno… Perché ricordare il terzo giorno? Perché è il tempo in cui l’anima lascia
definitivamente il corpo del defunto? Oppure si tratta di un riferimento non compreso agli annunci che
Gesù aveva fatto riguardo alla sua risurrezione? Di fatto tutti i lettori lo sanno: Gesù è proprio risorto il
terzo giorno.
22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo
trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che
egli è vivo.
Il narratore continua con gli elementi fondamentali della risurrezione di Gesù che i discepoli mostrano di
non capire. Dopo il terzo giorno ecco il segno della tomba vuota. Luca accentua la loro incapacità di
comprendere, che verrà rimproverata da Gesù nel v. 25.
24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non
l’hanno visto”.
La visita degli altri discepoli alla tomba allude all’episodio di Pietro (Lc 24,12) e suggerisce che forse Luca
aveva a sua disposizione un’altra tradizione. I discepoli che sono andati alla tomba hanno confermato la
testimonianza delle donne sulla tomba vuota, ma non sono arrivati alla fede nella resurrezione di Gesù. La
frase finale “ma lui non lo videro” sintetizza bene tutta la delusione e l’incomprensione venute alla luce nei
versetti precedenti. Luca però non vuole colpevolizzare i discepoli di Emmaus. Egli piuttosto vuol far capire
ai lettori che i discepoli non possono credere se non gli viene dato il dono di comprendere, e questo dono
viene soltanto dal Risorto stesso.
25Disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!
Ecco che il racconto cambia direzione. Gesù prende in mano la situazione e mette in ordine tutti i dati che i
discepoli conoscevano ma non sapevano interpretare. Prima di tutto c’è un annuncio dei Profeti che i due
hanno completamente ignorato.
26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”.
L’evangelista riprende le parole con cui i due discepoli hanno esordito (il kerigma) e lo riformula secondo un
linguaggio caratteristico dell’epoca: la necessità della sofferenza (cioè della morte) di Gesù come
preliminare per entrare nella gloria cioè la condizione di esistenza celeste permanente presso Dio, ottenuta
con la risurrezione. Però l’attesa di un Messia sofferente non era affatto evidente nell’AT e nel giudaismo
del I secolo, quindi possiamo dire che i discepoli di Emmaus avevano ragione a non capire. Le Scritture
possono illuminare il destino di Gesù solo se prima la fede pasquale illumina le Scritture. Il legame tra la
morte di Gesù e le Scritture è frutto dell’intensa riflessione della Chiesa primitiva illuminata dallo Spirito del
Risorto: riflessione che non solo supererà (con il motivo della sofferenza del giusto) lo scandalo della croce,
ma arriverà alla rivoluzionaria conclusione che la sofferenza-morte fa parte della definizione stessa del
Messia. Luca farà propria questa convinzione di fede e di pensiero.
27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Luca inserisce nel racconto un elemento a cui egli dà molta importanza all’interno della sua opera e della
vita della sua comunità cristiana: la spiegazione della Scrittura nella Chiesa. I discorsi contenuti negli Atti
degli Apostoli testimoniano quanto la Chiesa abbia abbondantemente utilizzato la Bibbia nella sua
predicazione e insegnamento. Gesù stesso è l’esegeta dell’evento-Cristo. Apre l’intelligenza delle Scritture
ai suoi discepoli e si trova dunque all’origine della riflessione cristiana sulle Scritture stesse.
Gesù non ha dato compimento ad alcuni passi delle Scritture, ma ha dato una risposta a tutte le speranze di
Israele. Egli è il culmine a cui tendono tutte le Scritture. Al tempo stesso è lui la fonte dell’interpretazione
delle Scritture. La lettura cristiana della Bibbia e la predicazione della Chiesa trovano in Cristo risorto la
garanzia della loro autenticità.
28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano.
Il viaggio giunge a termine, i due discepoli sono arrivati a destinazione. Gesù fa il gesto di voler proseguire.
Questo mezzo letterario permette al narratore di introdurre la parola del v. 29 e il motivo dell’ospitalità e
del pasto, altro momento importante del racconto.
29Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Egli entrò per
rimanere con loro.
Secondo il costume orientale dell’ospitalità, i due discepoli costringono amichevolmente Gesù a rimanere. Il
motivo è adeguato alla situazione: la notte è vicina. Ma l’evangelista vede al di là della situazione concreata
e della pura formula di cortesia. La domanda si fa preghiera al Risorto, gli chiede di rimanere nella sua
comunità quando la notte della prova si avvicina. Gesù quindi resta con loro. Ci sono alcune risonanze
cristiane:
- nonostante l’apparente assenza dovuta alla sua condizione di risorto, Gesù è presente in mezzo ai suoi
(Mt 18,20) - l’immagine ricorda anche la promessa di Ap 3,20: “Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io
entrerò (stesso verbo di questo brano di Luca), cenerò con lui ed egli con me»; - invitando uno straniero, i discepoli hanno dato ospitalità al Signore «ero forestiero e mi avete ospitato»
(Mt 25,35).
30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.
Luca ci propone ora il momento culminante del racconto. Gesù compie i gesti del rituale di un pasto
giudaico normale. Ma per il lettore cristiano, i termini scelti per descriverlo sono significativi:
rappresentano il linguaggio del gesto eucaristico; e per Luca in particolare “spezzare il pane” è la formula
tecnica per indicare il banchetto eucaristico (At 2,42.46; 20,7). Tutto il contesto invita il lettore a un
interpretazione eucaristica del pasto di Gesù con i due discepoli, a leggere il testo in prospettiva
catechistica e non storicizzante: - il calar del giorno come tempo della celebrazione eucaristica
- l’insistenza sull’essere “con loro” per sottolineare la realtà della comunione con Gesù;
- lo straniero invitato a condividere la cena diventa il paterfamilias che apre la sua tavola ai discepoli.
Per Luca, nell’Eucaristia i credenti sono invitati a partecipare al banchetto presieduto da Cristo risorto
stesso; là essi fanno l’esperienza della sua presenza.
31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista.
La tensione “drammatica” della narrazione giunge alla risoluzione; nell’Eucaristia si compie per i discepoli
l’incontro di fede con il Signore. Essi riconoscono ora colui che da tempo era vicino a loro nel cammino della
vita. Una volta riconosciuto, Gesù si sottrae alla vista: la sua presenza diventa «visibile» alla fede che lo
riconosce nella sua realtà (invisibile) di Risorto. La scena funge da modello: Luca pone il lettore nella vita
ecclesiale post-apostolica. Gli occhi che si aprono può suggerire ancora un passivum divinum: è Dio che li ha
resi capaci di vedere e riconoscere Gesù.
32Ed essi dissero l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo
la via, quando ci spiegava le Scritture?”.
Con abilità narrativa e intento catechistico, il narratore riporta il lettore sul tema delle Scritture, senza alcun
accenno alla reazione dei discepoli dinanzi all’improvvisa scomparsa del loro compagno di viaggio. Prima di
aprire i loro occhi, Gesù ha aperto le Scritture: preparazione adeguata all’incontro personale nella fede. Già
prima del riconoscimento, il cuore dei discepoli ardeva, al punto da non voler più separarsi dallo straniero
(v. 29).
L’espressione “cuore (nel senso semitico di “mente”) che arde” riflette il linguaggio biblico di Luca (Sal
39,4), ma rimane piuttosto oscura poiché nella Bibbia essa significa avere un grande dolore o tormento.
Luca ha probabilmente ellenizzato e cristianizzato l’espressione pensando al lavoro intimo dello Spirito in
coloro che hanno ricevuto un “battesimo in Spirito e fuoco” (Lc 3,16).
33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che
erano con loro,
Luca non si preoccupa dell’ora tarda per intraprendere il viaggio di ritorno a Gerusalemme. Si conclude il
movimento inverso rispetto all’inizio del racconto: dopo l’unificazione dei discepoli con Gesù e tra di loro vi
è il ritorno alla città dell’evento pasquale, punto di partenza dell’annuncio degli apostoli; un ritorno alla
comunione con gli “Undici” assieme agli altri, al nucleo della Chiesa nascente.
34i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”.
Prima di poter aprire bocca e raccontare la loro esperienza, i due discepoli sentono la proclamazione degli
Undici: Gesù è veramente risorto ed è apparso a Simone. L’inserimento del versetto è maldestro e
impreparato; ma l’intenzione dell’evangelista è chiara: la fede dei testimoni ufficiali e della comunità
iniziale non poggia sul “sentito dire” di personaggi secondari, ma sull’incontro del Risorto stesso con Pietro,
il capo del collegio apostolico. Questa apparizione fa dunque di Pietro il primo testimone ufficiale della
risurrezione.
Luca non fornisce informazioni concrete sulle circostanze dell’apparizione di Gesù a Simone, né sul ruolo
storico di costui nella nascita della Chiesa. C’è da pensare che sia stato fondamentale. Forse fu Pietro a
radunare di nuovo i discepoli dispersi dopo l’arresto del Maestro, trovandosi così al punto di partenza
storico della comunità cristiana. L’affermazione degli apostoli è una formula di annuncio (kerigma), una
confessione di fede. Tutto lascia pensare che Lc 24,34 sia il primo “grido pasquale”, la prima reazione
conosciuta della comunità nascente alla resurrezione di Gesù.
35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Come le donne, anche i discepoli raccontano agli Undici e agli altri radunati la loro esperienza. Ma la loro
testimonianza si aggiunge ora a quella degli apostoli e la conferma. Luca conclude il racconto sintetizzando i
punti culminanti della narrazione: ciò che è accaduto per la via, cioè la spiegazione delle Scritture ad opera
dello sconosciuto compagno di viaggio; il riconoscimento del Risorto nella “frazione del pane”. Per la
comunità cristiana, la Scrittura e l’Eucaristia sono il luogo di incontro con Gesù risorto.
Meditatio - Mi è mai capitato di sentirmi deluso/a rispetto a quanto mi aspettavo dal Signore?
- Riesco qualche volta a rendermi conto della presenza del Signore che cammina accanto a me, anche se
non lo riconosco subito? - Ho mai sentito il mio cuore “ardere” davanti a una parola di Dio particolarmente forte?
Preghiamo
(Colletta della III domenica di Pasqua)
O Dio, che in questo giorno memoriale della Pasqua raccogli la tua Chiesa pellegrina nel mondo, donaci il
tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il Cristo crocifisso e risorto che
apre il nostro cuore all’intelligenza delle Scritture, e si rivela a noi nell’atto di spezzare il pane. Egli è Dio…
Fonte:https://www.matrisdomini.org