Pentecoste (Anno A) – Messa del Giorno (28/05/2023) Vangelo: Gv 20,19-23
“In quel tempo la sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove
si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto
questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo,
soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a
coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.
(Gv 20, 19-23)
Pentecoste è una festa sconosciuta sia nel nome, ma soprattutto nel contenuto. Il nome è di origine
greca e indica i cinquanta giorni successivi alla Pasqua. Era una grande festa ebraica che celebrava
il dono del grano, simbolo della presenza di Dio che si prende cura dell’uomo, ma celebrava
soprattutto l’alleanza del popolo ebraico, avvenuta sul monte Sinai, quando Mosè ha consegnato le
tavole della legge. Attraverso l’osservanza della legge il popolo si incontrava con Dio e lo onorava
e Dio considerava questo popolo, il suo popolo. Intercorreva un’intensa relazione d’amore. Ma il
popolo non era capace di osservare la legge e allora Dio manda il suo Spirito a cambiare
dall’interno il cuore dell’uomo. Per questo lo Spirito è descritto come un fuoco che trasforma e
appassiona: è il contenuto della nostra Pentecoste che dovrebbe infiammare la Chiesa e tutti noi.
Dovrebbe essere la festa più importante della nostra fede.
“Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse acceso!”. Potremmo
denominare la festa di Pentecoste Festa del fuoco. Gli atti degli Apostoli ricordano infatti
che nella casa dove si trovavano, “apparvero loro lingue di fuoco che si dividevano e si
posavano su ciascuno di loro”. Questo fuoco non si posa solo sugli apostoli, ma su tutta la
comunità radunata nel cenacolo. Erano centoventi persone: il centoventi viene dalla
moltiplicazione del dodici per dieci. I dodici apostoli sono il fondamento della Chiesa, ma
non sono tutta la Chiesa: essa è composta dai dodici che diventano centoventi, vale a dire da
tutti i cristiani. Lo Spirito si posa su tutti, tutti sono toccati dal fuoco, tutti costituiscono la
Chiesa e sono chiamati ad esserne soggetti attivi e corresponsabili. La verità va cercata da
tutti perché a tutti si rivela lo Spirito. E questo significa passare da una concezione clericale,
secondo la quale solo l’autorità possiede la verità, ad una concezione laicale della Chiesa:
tutto il popolo è incendiato dallo Spirito.
Oggi anche noi siamo chiamati a lasciarci incendiare. Quanti hanno vissuto l’esperienza del
fuoco, ed hanno potuto osservare l’ardere di un bosco, di una casa, di una fabbrica, sanno
che esso ha una potenza incredibile. Che cosa vuol dire allora lasciarsi incendiare?
Vuol dire, anzitutto e concretamente, passare dalla tristezza alla gioia. Sarebbe interessante
sentire a questo proposito le opinioni della gente: il nostro mondo è certo un mondo sazio,
ma si può affermare che sia anche contento e felice? Sappiamo che il mal di vivere sale.
Perché tanti suicidi? Come possono, addirittura, due giovani fidanzati togliersi la vita
insieme? È successo, ed il messaggio che hanno lasciato dice: “Siamo stanchi di vivere”. È
una stanchezza che ci interroga, che ci deve inquietare: questo nostro tempo fatto di
materialità e di benessere, non basta, la persona “è” di più, ed esige qualcosa di più.
Per questo leggo molta tristezza nel volto di quelli che incontro, talvolta celata, ma spesso
percepibile. Bisogna invece lasciarsi incendiare dalla gioia che nasce quando l’uomo si sente
amato, abitato da Dio. Il Sessantotto ipotizzava un mondo senza padre: ci si voleva
svincolare dalla figura paterna, e di conseguenza anche da Dio padre. Non si accettava
alcuna dipendenza, si doveva realizzare la massima libertà. Ma l’uomo senza Padre sente
freddo, prova tristezza. Lasciamoci, invece, incendiare dallo Spirito, che è presenza di Dio:
una presenza che ci conforta, ci consola, ci dà speranza.
Lasciarsi incendiare vuol dire anche muoversi dall’indifferenza alla passione. L’indifferenza
alle povertà, ai problemi degli altri, l’indifferenza verso il prossimo, è una delle peculiarità
del nostro tempo: tutti abbiamo fretta e non ci accorgiamo di quanto accade attorno, perché
pensiamo solo a noi stessi. Anche la cultura, oggi, semina e cresce in indifferenza: non ci si
impegna a leggere, a riflettere, a confrontarsi; e nella coppia le cose vanno allo stesso modo:
tra sposo e sposa nasce il distacco, ognuno vive nel proprio mondo, il dialogo la
comunicazione diventano difficili. Nella vita di coppia il peggior peccato non è l’infedeltà,
ma l’abitudine. Si cessa di guardarsi e quindi di amarsi.
Lasciarsi incendiare dalla passione ma quale passione? La passione per l’uomo nei suoi
infiniti problemi, la passione per Dio, la passione per le grandi pensioni morali e ideali.
Quest’anno ricorre i cinquant’anni della morte di Lorenzo Milani il prete impegnato a far
crescere i ragazzi attraverso lo slogan “J care”: mi interessa, mi prendo cura! Questo slogan
si contrapponeva a quello fascista “me ne frego” che indicava la chiusura e l’individualismo.
Lo Spirito ci spinge a vivere di fronte ai problemi: “mi importa, mi interessa”.
Lasciarsi incendiare vuol dire infine crescere, dall’ostilità all’ospitalità. La nostra
occidentalità è intrisa di paura per il diverso, condizionata dall’inimicizia per chi parla
un’altra lingua. La stessa religione cristiana ha decretato nemiche le altre religioni, minaccia
da cui difendersi, contro cui lottare; la razza bianca h guardato alle altre razze inferiori, da
dominare; la cultura europea si è proposta come il centro, verso cui tutto doveva convergere,
attorno a cui doveva ruotare il mondo. Nella casa l’uomo ha considerato la donna subalterna,
e le ha imposto il proprio dominio. Occorre passare dall’ostilità all’ospitalità. La Pentecoste
racconta di culture e lingue differenti, che si ascoltavano e si capivano, pur restando diverse:
ogni cultura assicura dei valori, ogni religione porta delle verità, ogni razza origina un dono.
La liturgia di oggi ci invita ad ospitare questa diversità. Per crescere gli uni con gli altri,
insieme, bisogna vincere l’ostilità. Raul Follerau amava ripetere: “Non più gli uni contro gli
altri, ma gli uni con gli altri, gli uni per gli altri”.
Due piccoli impegni
- Lasciarsi prendere dal fuoco cioè dalla passione per la giustizia.
- Ospitare lingue e razze diverse per crescere.
Battista Borsato