Don Marco Ceccarelli Commento XXIV Domenica Tempo Ordinario


XXIV Domenica Tempo Ordinario “A” – 13 Settembre 2020
I lettura: Sir 27,30-28,7
II lettura: Rm 14,7-9
Vangelo: Mt 18,21-35
- Testi di riferimento: Gen 4,13-15.24; Lv 25,47-54; 1Sam 6,7; 1Cr 29,17; Ne 9,17; Sal 18,26-27;
103,8-10; Pr 21,2.13; Sir 28,4; Mt 5,7.25-26.45-48; 6,12.14-15; 7,2; 10,8; Mc 11,25-26; Lc 6,36;
7,41-43; 12,58-59; 16,15; 17,3-4; Gv 13,34-35; At 13,38-39; Rm 10,3; 14,12; Ef 2,8-9; 4,32; 5,1-2;
Col 2,13-15; 3,13; Gc 2,13; 1Gv 3,16; 4,11
- Un brano indigesto?
- Il brano di Vangelo odierno presenta un insegnamento di Gesù che sembra essere, curiosamente,
fra i più indigesti. La sua paradossalità si manifesta nel fatto che da un lato tale insegnamento è in
perfetta sintonia con, per esempio, la prima lettura, e anche con il resto del Vangelo di Mt (cfr. 5,7;
6,12.14-15); ma d’altro lato la conclusione della parabola e il relativo ammaestramento di Gesù
sembrano sconfessare quanto di buono si era detto in precedenza, nella fattispecie riguardo l’immagine di un Dio che ha una misericordia infinita, sempre e comunque. Tra l’altro Gesù stesso afferma, rispondendo a Pietro su quante volte debba perdonare un fratello che pecca contro di lui, che
il perdono va dato in misura illimitata (vv. 21-22). E ciò rappresenta in fondo l’immagine di Dio
sulla quale anche il cristiano odierno è ormai fortemente catechizzato. La conclusione del brano
sembra allora farci ripiombare nell’era dell’Antico Testamento, in quella visione di un Dio che alla
fine ci ripagherà comunque in base alle nostre opere, e non secondo la sua grande benevolenza
(come afferma tra l’altro anche il Salmo responsoriale). Allora si rimane un po’ confusi e ci si chiede: ma la misericordia di Dio è gratuita e illimitata, o è semplicemente una “ricompensa” per quanto
abbiamo fatto noi? - Occorre tenere presente che il nostro brano è ancora collocato nel cap. 18 di Mt, all’interno cioè di
quel lungo insegnamento di Gesù che viene chiamato discorso “ecclesiale”. Si tratta cioè di un ammaestramento relativo ai rapporti interni fra i “fratelli”, fra i componenti della comunità cristiana, di
coloro che si rivolgono a Dio chiamandolo “Padre”, e che sono chiamati a mostrare, in quanto figli
di Dio, la loro somiglianza con il Padre celeste (Mt 5,45-48), affinché gli uomini, vedendo le loro
opere, diano gloria al loro Padre che è nei cieli (5,16).
- La parabola.
- Diecimila talenti. Nella parabola va sottolineato innanzitutto che la cifra che il debitore deve al
suo padrone è volutamente iperbolica. Diecimila talenti sono una somma che può equivalere ad una
manovra finanziaria di un paese come l’Italia. Con tale cifra si vuole indicare che il pagamento del
debito e assolutamente fuori della portata del servo. Mai e poi mai quel tale sarebbe in grado di rifondere un tale debito. Certo, si potrebbe vendere lui e la sua famiglia come schiavi, e questo è
quello che si meriterebbe, ma il ricavato sarebbe comunque molto al di sotto del dovuto. Dunque, il
padrone condona un debito che non può in alcun modo essere restituito. [Domanda: il servo ne è
consapevole? Egli chiede pazienza per poter restituire il debito, ma non potrà mai farlo. Perciò il
padrone glielo condona per compassione] Fuori di metafora: nessun uomo può ripagare per i propri
peccati. Il perdono di Dio è assolutamente gratuito e non corrispondente a quanto noi possiamo fare
per sdebitarci. Questa è la misura della misericordia di Dio. Se la parabola finisse qui saremmo tutti
felici e contenti. Ma “purtroppo” c’è un seguito [predicozzo: cerchiamo di tenere sempre presente il
tutto, mai soltanto una parte di quello che dicono i Vangeli, per non cadere nell’errore di Marcione
che voleva depurare le Sacre Scritture dalle parti “sgradevoli”]. - Un comportamento anomalo. Occorre ricordare che le parabole di Gesù contengono sempre qualcosa di scandaloso, qualcosa di urtante. In questo caso ciò che disturba è il comportamento del debitore condonato, il quale prende per il collo un suo debitore che gli deve una cifra risibile. Un comportamento assolutamente incomprensibile, fuori luogo, innaturale. Come sarebbe del tutto innaturale preoccuparsi di una piccola cifra quando si è ricevuto in sorte una somma sbalorditiva. Per capirci, nessuno che avesse appena vinto cento milioni al lotto prenderebbe per il collo un altro che gli
deve cento euro. Chi ha vinto una fortuna fa salti di gioia, offre da bere, ecc. ecc. E certamente non
si mette ad angariare un tizio che gli deve pochi soldi. È chiaro che nel comportamento di questo
personaggio c’è qualcosa di assolutamente anomalo. Da cosa deriva tale anomalia? - La misericordia non ricevuta. Nella paradossalità del comportamento del debitore graziato si rivela
una caratteristica peculiare del nostro rapporto con Dio e la sua misericordia. Per quanto possa sembrare strano anche se Dio ci usa misericordia non è detto che noi la riceviamo. Con le dovute cautele, possiamo fare un paragone con la parabola dei quattro terreni (Mt 13,1-9). Il seme viene gettato
ovunque, ma è solo il quarto terreno, quello che è “aperto” per ricevere il seme, che porta frutto. In
altri termini, Dio vuole fare e fa misericordia a tutti quelli che la chiedono. Ma essa occorre accoglierla. Non è automatica; non è “magica”. Occorre da parte di ciascuno il desiderio di riceverla.
Possiamo essere oggetti numerose volte e in molti modi della misericordia di Dio e tuttavia non sperimentarne i frutti. E il frutto che nasce dall’aver ricevuto la misericordia di Dio in modo gratuito, è
una enorme gratitudine a Lui che si manifesta nella benevolenza verso i fratelli. Il servo graziato
non ha misericordia verso il fratello perché in realtà non ha ricevuto alcuna misericordia. Questo
spiega l’anomalia del suo comportamento. Il suo cuore è rimasto quello di prima, non è stato trasformato dall’atto di misericordia del padrone. Per usare misericordia verso gli altri occorre avere
sperimentato la misericordia. Il padrone ha sì condonato il debito, ma il servo non ha accolto tale
condono, forse perché in fondo pensa che egli debba comunque pagare (v. 26). Anche se il padrone
lo ha graziato, il comportamento spietato verso l’altro servo mostra che il debito in realtà non gli è
stato condonato, perché lui non ha voluto. Non è il caso di fare qui indagini psicologiche sui motivi
di tale atteggiamento. Possiamo però osservare che non è così facile credere che «è per grazia che
siamo salvati e che questo non viene da noi ma è un dono di Dio; né viene dalle opere» (Ef 2,8-9).
Si pensa spesso, forse inconsciamente, che la salvezza debba essere comunque opera nostra, che ce
la dobbiamo guadagnare. Giuda rappresenta questo uomo orgoglioso che vuole pagare il suo peccato, e lo fa uccidendosi (cfr. «Troppo grande è il mio peccato per essere perdonato» di Caino: Gen
4,13). Pietro invece, piangendo i suoi peccati, ottiene misericordia e fa l’esperienza dell’amore gratuito di Dio. Il punto della parabola è quello di mostrarci che possiamo drammaticamente rimanere
chiusi alla misericordia di Dio e subire le tragiche conseguenze di tale chiusura. - Figli del Padre. Il cristiano è tale, è un altro Cristo, è un altro figlio di Dio, perché è rinato gratuitamente a nuova vita, alla vita divina, per pura misericordia del Padre. Come figlio, manifesta nelle
sue azioni la natura del Padre che è quella di far sorgere il sole sui buoni e sui cattivi (Mt 5,45), di
avere cioè lo stesso cuore di misericordia per tutti gli uomini, indistintamente. Il cristiano sa bene di
“aver ricevuto gratuitamente” e di dover quindi “dare gratuitamente” (Mt 10,8). Per questo, se un
presunto cristiano dovesse “non perdonare di cuore al proprio fratello” (v. 35) mostrerebbe di non
avere accolto la gratuita misericordia del Padre che ci ha fatti suoi figli. Nonostante la volontà di
Dio di salvare tutti gli uomini, rimaniamo liberi di accogliere o meno tale salvezza e di portarne le
relative conseguenze.
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/
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