Solenne inizio della Quaresima
Gl 2,12-18; Sal 50; 1Cor 5,20-6, 2; Mt 6,1-6.16-18
- La prima domenica di quaresima.
- In questa domenica appaiono nella liturgia i temi centrali della quaresima, fra cui quello del deserto, con i suoi significati. Il deserto ha costituito per Israele il periodo di preparazione alla terra promessa. Il deserto non era un inconveniente o un male necessario. Non era necessario per gli israeliti
passare per il deserto per arrivare fisicamente nella terra; ma era indispensabile per arrivarci dopo
aver fatto un percorso di conoscenza di quel Dio che li aveva fatti uscire dall’Egitto e che offriva
loro un’alleanza. Dio ha voluto portare il popolo nel deserto perché imparasse la fede (Es 13,17).
Quindi il deserto è in funzione della terra promessa, come la quaresima è orientata al tempo di Pasqua. - Il tempo di quaresima e quello di Pasqua costituiscono i due aspetti dello stesso mistero, vale a dire del mistero pasquale. Il mistero pasquale ha due aspetti, la passione (e morte) e la Risurrezione (e
glorificazione) di Cristo. Sono i due volti dell’unico mistero che celebriamo nel triduo pasquale. Il
periodo che va dal mercoledì delle ceneri alla Pentecoste celebra questo unico mistero nei suoi due
aspetti. Possiamo sintetizzare in un piccolo schema:
Mistero Pasquale
Quaresima Tempo Pasquale
Deserto Terra Promessa
Catecumenato Vita Cristiana
Vita terrena Vita celeste
Uomo terreno Uomo celeste
Figlio dell’uomo Figlio di Dio
- Il Vangelo.
- Nella prima domenica di Quaresima abbiamo sempre l’episodio di Gesù tentato nel deserto. Tuttavia, anche in questo caso, ogni evangelista sottolinea qualcosa di particolare. Nella festa del Battesimo di Gesù abbiamo ascoltato la voce dal cielo proclamare Gesù figlio diletto di Dio (3,22). A
ciò, in Lc, fa seguito una genealogia a ritroso che termina addirittura con Adamo stesso, il quale è
designato “figlio di Dio” (3,38). C’è sicuramente un parallelismo fra le due figure. Da un lato Adamo, che era stato posto nel giardino dell’Eden, viene cacciato fuori; e il suolo gli diventerà ostile.
Dall’altro abbiamo Gesù che viene condotto dallo Spirito nel deserto. Egli entra volontariamente in
questa realtà per riaprirci la via al paradiso perduto. Il deserto è il simbolo dell’estrema precarietà
della condizione umana. Il deserto è il contrario del giardino in cui Dio aveva posto l’uomo; è la
condizione di ostilità del suolo dovuta al peccato originale (Gen 3,17). Avendo perso il giardino,
avendo rotto con Dio, l’uomo si trova a sperimentare tutta la sua debolezza. Il deserto esprime questa condizione. Ed è importante l’accettazione di questa condizione, in cui l’uomo finisce per avere
continuamente un satana che gli è accovacciato alla porta e che deve imparare a dominare (Gen
4,7). Gesù entra in pieno in questa realtà umana (Eb 2,17-18; 4,15). Egli si carica di tutto ciò che significa essere uomo, cominciando dall’esperienza del deserto e della tentazione. Con Gesù si realizza la promessa di una inversione degli effetti del peccato originale annunciato in Is 51,3: «Il Signore
renderà il deserto come l’Eden, e la sua desolazione come il giardino del Signore». Lc ci dice dunque che Gesù è il nuovo Adamo; e che la strada per la terra promessa, per il ritorno alla comunione con Dio, passa dal deserto, dall’accettazione della nostra fragilità umana, dall’accettazione della
sofferenza insita nella nostra esistenza. Al contrario, la non accettazione della nostra condizione
umana è il peccato fondamentale, la superbia di volere essere dio, di non soffrire, di non morire.
L’unico che veramente era Dio ha accettato fino in fondo la debolezza umana. - La tentazione. Gesù dopo il battesimo entra dunque nella realtà umana con tutta la sua difficoltà,
sottoponendosi alla tentazione. L’essere tentato di cui si parla nel Vangelo non ha il nostro significato di stimolo della concupiscenza. È piuttosto la prova, la difficoltà, insita nella nostra condizione
di creature. L’essere creatura, e quindi non essere Dio, implica la precarietà, la sofferenza, la morte.
Implica un limite; quel limite che i progenitori hanno rifiutato disobbedendo a Dio. Infatti è intorno
al rifiuto della condizione umana che ruota ogni forma di tentazione da parte del demonio. Nella
“prova”, che costituisce la precarietà della condizione umana, si inserisce la “tentazione” di rifiutare
tale precarietà. Le tre tentazioni narrate dal Vangelo presentano, in fin dei conti, l’invito a evitare la
sofferenza. Chi cade in questa tentazione finisce per “tentare” Dio (Lc 4,12), per pretendere che egli
si manifesti rimuovendo quella sofferenza che non si accetta. Gesù rinuncia al potere umano e a
quello divino per evitare di soffrire, sia ora che ha fame sia in seguito quando affronterà la croce.
L’alternativa a questa rinuncia sarebbe una continua fuga – in balia delle seduzioni del demonio –
dalla sofferenza e dalla morte, che tuttavia inevitabilmente ci vincerà. Gesù invece entra in questa
dimensione accettando, prima di iniziare la missione pubblica che il Padre gli ha affidato, tutto
quanto comporta l’essere uomo. Pur essendo Dio, egli si fa uomo in tutta la sua pienezza (Fil 2,6-8). - Ogni uomo ha bisogno di imparare che nonostante le sue prove egli non è solo, perché Dio è con
lui. Dovrebbe imparare che davanti a sé non c’è soltanto la sofferenza e la morte, ma c’è il Creatore,
c’è la terra promessa, c’è la pasqua, c’è la vita eterna. Dio vuole insegnare all’uomo la fede; e lo fa
portandolo, come Israele, nel deserto. Così la Quaresima è proprio questa chiamata a seguire il
cammino percorso dal Dio fatto uomo nella sua discesa dal cielo fino alla morte in croce per partecipare della sua risurrezione e ascensione al cielo.
- La chiamata a conversione.
- Il carattere collettivo della penitenza. Anche se la confessione dei peccati personali rimane un fatto
privato, è maturata nella storia della Chiesa l’esigenza di un atteggiamento collettivo di conversione. A partire dall’XI secolo le ceneri, destinate soltanto ai penitenti pubblici, vengono imposte a tutti. Tutti i cristiani sono chiamati a riconoscersi peccatori e a fare penitenza, perché Ecclesia semper
reformanda («sancta simul et semper purificanda»: Lumen Gentium 8). Si tratta di un richiamo ad
un atteggiamento costante di conversione necessario a tutti, che viene poi sancito dalla confessione
privata. Nessuno può sentirsi esonerato da questo. Non posso mai dare per scontato che nella mia
vita va tutto bene; devo sempre partire dalla considerazione che probabilmente c’è qualcosa che deve essere cambiato, nel mio modo di vivere o di pensare. Se la Chiesa ci impone le ceneri e ci chiama a conversione significa che tutti ne abbiamo bisogno, anche quando a noi non sembra. La conversione non è un affare che riguarda la fine della mia vita, ma adesso. Adesso occorre convertirsi,
fare penitenza, uscire dal peccato. La chiamata a conversione è una chiamata a volgere i nostri occhi
a Cristo, quegli occhi che sono sempre attratti dalle realtà terrene, che sono abbagliati dal luccichio
del mondo e dalla bellezza del frutto proibito. È una chiamata continua a cercare le vie di Dio, a lasciarci illuminare dal suo volto. - Il tutto è in funzione della Pasqua. La quaresima non è fine a se stessa, ma una preparazione alla
Pasqua, con tutto ciò che significa. È il riconoscimento del nostro bisogno di essere salvati, di passare da una condizione ad un’altra, di una trasformazione, che solo Dio può realizzare; ma lo realizza a partire dal nostro desiderio che tale cambiamento avvenga. Dio interviene in Egitto quando
sente il gemito del popolo che grida a causa della sua schiavitù (cfr. prima lettura). Dio interviene
nella nostra vita quando sente il grido del desiderio profondo che abbiamo di essere trasformati, di
ricevere una vita nuova. La quaresima è il tempo per prendere coscienza della nostra schiavitù e per
gridare a Dio. Perché «chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (Gl 3,5; seconda lettura).