XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (25/09/2022)
Il vangelo di questa domenica non è la fotografia di ciò che accade dietro ai ristoranti, alle strutture turistiche, alle tante ville dei grandi di questo mondo. Non è nemmeno la stampadi tanti cassonetti che sono nei pressi delle case di tante famiglie di questo nostro strano mondo, in cui si buttano via centinaia di migliaia di tonnellate di cibo all’anno (alcune statistiche parlano di circa 200 kg/persona di cibo buttato ogni anno!), mentre tante famiglie riescono a mal a pena ad arrivare alla fine del mese. Per non parlare delle tantissime persone povere che non hanno nulla da mangiare. Eppure tra il contenuto del vangelo e ciò che succede ci sono tantissime somiglianze.
Ad una superficiale interpretazione, sembra che Gesù condanni la ricchezza e la spudoratezza del ricco, oppure che rigetti la ricchezza esaltando la povertà come di mancanza di cose: ma, come già detto, è una interpretazione che niente ha a che fare con il senso profondo del messaggio di Gesù. Basti ricordare che Gesù era un ebreo e per gli ebrei la ricchezza era uno dei grandi segni concreti della benedizione di Dio. Ricordiamoci anche che il gruppo dei discepoli di Gesù aveva una cassa con i soldi, e che, stando a Marco 6,37, conteneva “almeno” 200 denari, vale a dire il guadagno di una famiglia per quasi un anno. Ricordiamoci poi che Gesù non rimprovera nemmeno Zaccheo o Matteo perché possedevano ricchezze. Questo è un punto molto importante da ricordarsi davanti alla parola di Dio di questa domenica.
Ciò che ci ricorda la parabola di Gesù è il modo di rapportarsi con la ricchezza. Si può vedere abbastanza facilmente che la differenza tra il ricco e Lazzaro, il povero, non sta nel quanto ha uno e quanto non ha l’altro; non sta nemmeno tra il pancione del il ricco stra-sazio e l’altro con lo stomaco vuoto, la differenza sta, a quanto pare, in due sfumature per niente superficiali: si tratta della concezione riguardante la provenienza delle cose che il ricco possiede non quante ne ha. Si può avere moltissima ricchezza o pochissimo l’importante e non dimenticare che tutto è dono, è qui il punto focale della parabola di Gesù! Tant’è che è proprio questo ciò che Abramo ricorda al ricco: “Ricordati che nella tua vita hai ricevuto i tuoi doni”. É poi straordinario questo intervento del Padre Abramo, lui che, pur avendo tante ricchezze, non ha mai smesso di guardare il cielo per vedere le stelle, arrivando così ad una fede talmente grande da sacrificare, per Dio, persino l’unico suo figlio che ha ricevuto in dono, l’unica speranza della sua vita. É questo ciò che il ricco del vangelo ha dimenticato, e Gesù racconta questa parabola proprio per questo: mai dimenticare che tutto ciò che si ha di buono nella vita è dono di Dio, e se è un dono va necessariamente condiviso. Lazzaro non dice nemmeno una parola ma “riesce a condividere” con i cani – non avendo altri! – le sue sofferenze, di cui però non si lamenta.
La seconda riflessione che emerge dal vangelo di questa domenica è l’accenno al fatto che questa vita terrena è indirizzata verso l’eternità, e che l’eternità dipende da come è vissuta questa vita. Se in questa vita si fa lo sforzo di non dimenticare, vale a dire di ricordare (= mettere sempre di nuovo al cuore) che tutto è dono si diventa in grado di ricevere anche la vita eterna. Perché mentre la ricchezza la possiamo ottenere anche facendo finta che Dio non esiste, la vita eterna non la si può ottenere se non proprio perché Dio esiste. Il ricco si è dimenticato, durante la sua vita, di Dio. Il tormento degli inferi, per chi vi accede, è proprio il soffrire perché Dio non si fa presente, infatti il ricco dialoga con Abramo e non con Dio.
Il ricco si rende conto del fatto che la sua sofferenza è dovuta proprio alla sua dimenticanza di Dio, e quindi nel considerare la ricchezza è dono di Dio. Il ricco Abramo di mandare Lazzaro dai suoi fratelli per “ammonirli severamente”. Bella anche questa espressione con tanto di ironia da parte di Luca, l’evangelista della misericordia. “Ammonire severamente”… non si può fare nel mondo del polliticaly correct, ma è necessario farlo quando si corre un grave pericolo. Abramo sa di questa legge vigente tra coloro che dimenticano Dio e la vita eterna; per questo, propone al ricco niente meno che la Legge (Mosè) e la profezia dei Profeti di Dio: vale a dire che per ricordare che tutto è dono e che la nostra vita è prospettata verso la vita eterna abbiamo a disposizione “le dieci parole” della vita e il buon senso che può diventare profezia.
Notiamo che il ricco è comunque abbastanza onesto: sa bene che i suoi fratelli, come del resto aveva fatto anche lui, non sanno, non vogliono, non sono interessati a seguire né la Legge, né la profezia, perché pensano di bastare a se stessi a causa della ricchezza.
Si insiste anche sul miracolo della risurrezione, la quale risurrezione, però, non basta per la conversione se non si ha la capacità di lasciarsi “ammonire severamente” da “Mosè e dai profeti”.
Per concludere: ricordiamoci che il cristianesimo non è la religione dei poveracci, dei miserabili, degli incapaci di “godersi la vita”. Il cristianesimo è la religione dei liberi, liberi da tutto e da tutti, persino liberi da se stessi proprio purché convinti che tutto è dono, e che vivendo questa vita alla maniera del dono ci si dispone a ricevere il dono per eccellenza: la vita eterna.
Ricordiamoci che c’è persino la prova che il ricco non ha potuto avere: la risurrezione… non di chiunque, ma del Figlio di Dio “che non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso… per questo Dio gli HA DATO un nome che è al di sopra di ogni altro nome”, primizia di tutti coloro che desidereranno avere il nome scritto nel libro della vita.
Fonte:https://www.omelie.org/