Liturgia: Is 52, 7-10; Sal 97; Eb 1, 1-6; Gv 1, 1-18 (Messa del giorno)

Il Prologo del Vangelo di Giovanni è come l’ouverture di un Poema sinfonico, quella che Sant’Ireneo chiamava “la grande sinfonia della salvezza“. Il Prologo ne anticipa, in forma di INNO, personaggi, temi ed eventi.

In questa solennità ci soffermeremo sull’annuncio centrale: Il Verbo si fece carne (v.14).

Questa pagina evangelica ci interpella in una maniera molto personale. Infatti nel Prologo tra i temi-eventi trattati c’è posto anche per il lettore, che proprio dopo l’enunciato del versetto 14, sembra rispondere in maniera corale, in seno alla comunità dei credenti, affermando la sua adesione al mistero dell’Incarnazione.

Leggendo e rileggendo questi versetti, ci si convince che, più che una pagina da spiegare, il Prologo sembra sia una pagina da contemplare. Molti esegeti sono concordi nel dichiarare che tutto il Vangelo di Giovanni non sia che una spiegazione del Prologo, una sua esegesi; un addentrarsi sempre più nel Mistero di Dio fatto Uomo per amore.

È questa la “buona notizia” che abbiamo ascoltato questa notte: “Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi il Salvatore” (Lc 2,10-11). Nella Messa del giorno questa stessa buona notizia ci viene espressa in altro modo dal quarto evangelo. È proprio il Prologo una parola di gloria sul Natale, che ci fa capire sotto un punto di vista diverso l’unico Vangelo dell’Incarnazione, dell’umanizzazione di Dio: UN UOMO COME GESÙ SOLO DIO CE LO POTEVA DONARE!

Questa pagina, ricchissima a livello teologico e filosofico, è la sintesi ultima, come apprendiamo dall’ultimo versetto: Gesù è il narratore definitivo di Dio, e anche Giovanni insieme alla sua comunità ha narrato in modo definitivo il senso della vita di Gesù, in questi 18 versetti.

“Figlio, quando tu partirai, crescente abisso eterno
Nel quale scorsi ogni cosa.
Padre, l’Amore significa necessità di una crescita di gloria. 

“Figlio, guarda, non lontano dal Tuo chiarore graniscono le spighe mature –
E verrà un giorno in cui Ti toglieranno il fulgore,
in cui alla terra cederò la Tua luce”. 

Come ogni cosa bella, il Prologo è altrettanto semplice, così anche leggendo queste parole rimaniamo colpiti dalla semplicità con cui l’evangelista ha saputo comprendere e narrare l’inesauribile mistero del Dio-Uomo.
Tutto si condensa in quella mirabile sintesi collocata proprio al centro del testo: “E la Parola si è fatta carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi“.

La Parola si è fatta carne!
Un’affermazione che ci fa sobbalzare. Come è possibile che questa Parola eterna per cui tutto è stato creato diventi carne fragile, debole ed entri così nella nostra morte? 

“Padre, guarda, non lontano dal mio amore è il mio sguardo
e in esso avvolgo da secoli
quel giorno turgido nel suo verdeggiare… 

Le Tue mani toglieranno dalle mie spalle –
Figlio, vedi questo annientamento, il Tuo bagliore, quando verrà il giorno
darò alle spighe della terra il turgore.” 

Potremmo chiamare tutto questo follia. Quel “manikos eros” (amore folle) così caro ai Padri d’Oriente.
Una follia voluta da Dio, libera sua scelta di svuotarsi. Tutto questo per uscire da sé ed entrare in relazione con noi. Così che potremmo anche commentare:
La Parola si è fatta RELAZIONE… ed abitò tra noi“.
E solo per Amore. Un amore che nel Prologo è declinato con parole come: “vita, luce, grazia“, anzi “grazia su grazia“, “amore su amore“.

E noi continuiamo a leggere il Prologo da uomini inseriti in comunità di fede perché “…ha posto la sua tenda tra di noi, e noi vedemmo la sua gloria“. Sicuramente un punto d’arrivo disseminato da tutte quelle espressioni che ci fanno avvicinare al Mistero: “Nella Parola era la vita, la vita era la luce degli uomini… veniva nel mondo la luce vera…

Tutto luce? Tutto illuminato?
Giovanni è molto realista: ci sono le tenebre che muovono lotta contro la luce, vorrebbero soffocarla. Eppure non possono vincerla, sopraffarla. 

“Padre, le mani staccate dalle Tue spalle
le salderò ad un legno spogliato di verde,
e intriderò d’un pallore di grano questa luce che muterai in spighe. 

Figlio, quando partirai, eterno Amore,
della più intima corrente che mai t’inonderà?” 

Così è stato per Gesù, venuto tra i suoi senza essere compreso, fino alla morte di croce. Giovanni non lo nasconde: “Il mondo non lo ha conosciuto…i suoi non l’hanno accolto“.
Un crescendo di non-accoglienza…
Anche le nostre tenebre soffocano la luce di Cristo, siamo noi il moggio che nasconde la lampada! Dobbiamo riconoscerlo. Ma non dobbiamo disperare. A noi viene chiesto, ieri come oggi, di accogliere il Vangelo, più forte, più luminoso, più vita di ogni morte!

Ma il Prologo ci immerge anche nel Mistero della Parola pronunciata, annunciata, insegnata. La “visione” della Parola fatta carne deve completarsi con “l’ascolto” della vita di Gesù di Nazareth. Mettersi alla sequela del Verbo vuol dire “rinascere dall’alto“, e chi nasce deve imparare a parlare.

Nella Parola c’è possibilità di vita e di morte, può creare fiducia ma può anche minare le relazioni. Il Cristo che ci insegna a vivere (Tt 2,12) ci insegna anche a parlare. Ci chiede l’umiltà di imparare a parlare. Imparare a bene-dire, fare del nostro dire una fonte di luce e di vita. Molto spesso il dire è anche dare. Questo ci insegna il Prologo. Le parole sono gesti e azioni. Avere l’audacia di seguire il Maestro Gesù fino ad ascoltare il suo “silenzio” sulla croce. Quel Gesù sulla cui “bocca non fu trovato inganno” (1Pt 2,22). L’incarnazione, la Morte e la Resurrezione di Gesù diventano allora l’incarnazione, la Morte e la Resurrezione della Parola.

Tutti gli uomini cercano la luce, la vita, l’amore nelle forme più diverse e contorte. Anche noi cristiani, uomini come tutti, siamo chiamati a cogliere la bellezza che scaturisce dall’Uomo Gesù, raccontato dal Vangelo. Rimanerne affascinati, seguirlo. L’evangelista ci dice che il cristianesimo non è una dottrina ma una Persona. Ci dice che non è la morale che salva, ma “la grazia e la verità” che vengono dal Cristo.

E siamo proprio noi, cristiani di oggi, chiamati ad essere un “prolungamento di Cristo“, “un’umanità in aggiunta“, là dove tutto sembra respingerlo. 

“Padre, lascio il tuo sguardo che s’empie di un’onda di sole,
scelgo gli occhi degli uomini –
scelgo gli occhi degli uomini, colmi di una luce di grano” (K. Wojtyla).

Fonte:https://www.figliedellachiesa.org/