Liturgia: Sir 3, 3-7.14-17; Sal 127; Col 3,12-21; Mt 2,13-15.19-23

Nel capitolo 1 del Vangelo di Matteo si vive il tempo di Natale, si assapora la nascita del Bambino, con tutti quei dubbi e interrogativi che smuovono la coscienza di Giuseppe; non voleva “ripudiarla” Maria, ma “licenziarla in segreto”, cosa che poi non fece perché l’angelo del Signore venne a trovarlo in sogno, rassicurandolo sul fatto che quel “suo” figlio sarebbe stato il Figlio di Dio, concepito ad opera dello Spirito Santo. Giuseppe sceglie di fidarsi dell’angelo e di affidarsi a Dio… e chiamerà quel figlio “Gesù”.

Dopo l’arrivo dei Magi, all’inizio del capitolo 2, si insinua poi una situazione di grave pericolo per il Bambino: il re Erode lo sta cercando, ha mandato gli stessi Magi a informarsi del luogo in cui si trovi “per andare anche lui ad adorarlo”; è molto incuriosito da questo bambino che viene definito il “Re dei Giudei”… I Magi, però, avvertiti in sogno, scelgono di non rivelare il luogo del Bambino a Erode “… e per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”.

Ed eccoci alla nostra pagina di Vangelo, il capitolo 2, i versi che vanno dal 13 al 15, paragrafo intitolato “Fuga in Egitto”. È significativo come, ancora una volta, entri in gioco, in sogno, l’angelo del Signore, probabilmente lo stesso angelo che aveva detto a Giuseppe di accogliere Maria con il suo grembo fecondo: questa volta non ci sono buone notizie da offrire, se non quella di alzarsi, prendere con sé il bambino e sua madre e fuggire in Egitto, poiché il re Erode sta cercando il figlio per ucciderlo. È veramente un angelo di Dio che sprona Giuseppe ad attivarsi, a non rimanere fermo e immobile, a non rassegnarsi di fronte agli eventi scomodi della vita; e Giuseppe, grande uomo, “giusto” come è sempre stato definito, si alza, prende l’iniziativa e comincia a muoversi, proteggendo e prendendosi cura della sua famiglia.

È un uomo che non pensa a salvare esclusivamente la propria pelle, ma ha a cuore il destino dei propri cari, un amore sconsiderato che gli fa mettere al primo posto la vita della sposa e del figlio, prima della sua. Infine, seguendo l’indicazione dell’angelo, sceglie di “fuggire” nella logica di seguire il progetto di Dio che tante volte scombussola i nostri piani, destabilizzando progetti e sicurezze a cui siamo spesso attaccati come cozze su uno scoglio. Dio si presenta a Giuseppe e alla sua famiglia portando inquietudine, ansia, timore: è il Dio che sovverte gli schemi, che tramuta l’acqua in vino, che rende primo l’ultimo, che serve anziché pretendere di essere servito. Giuseppe si fida di questo Dio “sovversivo”, padre buono e misericordioso, e così nella notte prese con sé il bambino e sua madre e fuggì in Egitto.

Dopo la fuga in Egitto, alla morte del re Erode, ecco che l’angelo del Signore torna all’attacco: si presenta nuovamente in sogno a Giuseppe e lo invita ad andare con la famiglia nel paese di Israele. Sono i versetti che vanno dal 19 al 25; i verbi usati dall’angelo sono gli stessi del sogno precedente: “alzati”, “prendi con te”, “va’ nel paese”… tutti verbi di azione, di movimento, di viaggio… e di cura. Giuseppe, senza alcuna esitazione, fa quello che l’angelo dice, in un’obbedienza che fa trasparire l’uomo di fede nascosto dietro a quel falegname silenzioso. Veramente un uomo di Dio, non c’è dubbio!

Erode è morto, ma al suo posto è diventato re della Giudea il figlio Archelao: Giuseppe ha paura di andarvi, non vuole mettere a rischio la vita del piccolo e della donna. Un sentimento tipicamente umano, quello della paura… quante volte per paura ci fermiamo anche noi, cambiamo direzione, stravolgiamo programmi o mettiamo la testa sotto la sabbia per non vedere e non sentire… Ma Dio poi riesce a farci sentire il suo soffio, quasi un sussurro nell’orecchio, un po’ come l’angelo del Signore che appare in sogno, regalandoci nuove prospettive e sguardi alternativi. Ed è quello che succede ancora una volta a Giuseppe: la voce dell’angelo in sogno lo invita a rifugiarsi nelle regioni della Galilea e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, una città che non offre nulla di buono, riprendendo le parole di Natanaèle che dialoga con Filippo nel vangelo di Giovanni “Può venire qualcosa di buono da Nazaret?”.

Ma occorreva che si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: “Sarà chiamato Nazareno”.

Quanto è bella questa pagina di Vangelo in cui l’umano si mescola al divino! Questo Gesù che sperimenta fin dalla più tenera età la condizione del profugo, del fuggitivo, del rifugiato; un Figlio di Dio che si sporca le mani, che prova la paura del non farcela, che sente sulla propria pelle i brividi del freddo, dell’angoscia, del rifiuto. Un figlio che ha, però, una grande fortuna: un padre-umano di nome Giuseppe il quale, illuminato dall’altro Padre, ha la capacità di mettere la propria vita, e quella dei suoi cari, nelle mani di Dio, però non rinunciando alle proprie mani… e ai propri piedi. Mani forti che proteggono e sanno prendersi cura della fragilità di un bimbo e delle fatiche di una madre, piedi instancabili che hanno avuto la forza e il coraggio di percorrere chilometri, guidati dalla voce di un angelo notturno. Sembra che tutto finisca a Nazaret, mentre invece sarà da quel “postaccio” che tutto avrà inizio: è il luogo adatto, per uno come Gesù, per cominciare una nuova vita ai margini… partendo dagli ultimi. Quanto ci piace questo Dio, che manifesta la propria potenza nella piccolezza di un bambino, nel freddo di una grotta, nella solitudine di un viaggio, nella povertà di una terra, nel sogno di un falegname…

Oggi si celebra la Santa Famiglia e la pagina di Vangelo meditata ci offre una chiave di lettura fruibile da chiunque: l’essere chiamati TUTTI alla santità, nessuno escluso. Come Giuseppe e Maria, imparare a cogliere la voce di Dio negli angeli del quotidiano… e poi alzarsi, prendersi cura, andare, rispondendo alla chiamata di un Bambino venuto al mondo per servire, e non per essere servito. C’è bisogno in quest’epoca di riscoprire una dimensione familiare più forte, in cui i legami siano veramente costruiti su piccoli gesti d’amore quotidiani: la famiglia di Gesù non era certamente formata da supereroi, ma da persone capaci di vivere la pienezza dell’amore.

Un amore che va oltre il tempo e lo spazio.

Fonte:https://www.figliedellachiesa.org/