Mons Angelo Sceppacerca Commento Santissima Trinità (Anno B)

Santissima Trinità (Anno B)  (26/05/2024)

Vangelo: Mt 28,16-20

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.
Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Ci sono le feste in onore dei Santi, quelle della Madonna, quelle che celebrano i misteri della vita di Gesù. Oggi è la festa di Dio, nientemeno che la celebrazione gioiosa del mistero della Santissima Trinità, il Dio cristiano, “il più grande di tutti i misteri, la fonte ed il fondamento degli altri”, secondo l’espressione di papa Leone XIII, che aggiunge: “è per conoscere e contemplare questo mistero che gli angeli sono stati creati nel cielo, e gli uomini sulla terra”.

La domanda di Mosè al popolo smarrito nel deserto – vi è mai stata cosa più grande di questa: che un popolo abbia udito la voce di Dio? – è l’intuizione credente che l’inimmaginabile è divenuto accessibile e l’inaudito è sperimentato. In Gesù, poi, la voce, la Parola di Dio, si è fatta visibile, carne dell’uomo.

Siamo alla fine ed è un grande inizio. Chiude il Vangelo di Matteo con una scena intima e commovente. L’ultimo saluto del Signore, il dubbio dei discepoli, la forza delle promesse, il coraggio del mandato universale, il sigillo del Dio unico e trinitario, la consolazione che Gesù sale, ma resta fino all’ultimo giorno insieme a noi perché lui è l’Emanuele.

Colpisce il persistere del dubbio dei discepoli, nonostante abbiano il Risorto dinanzi agli occhi. Forse il dubbio era per le parole delle donne; infatti poi ci sono andati in Galilea – dove tutto ha preso inizio – e Gesù li ricompensa con la promessa di restare “fino alla fine del mondo”, ben oltre la loro stessa vita. E’ lo Spirito che li rassicura. Ancor più la presenza del Signore, così come è la sua assenza a far paura, a smarrire.

Gesù ha “ogni potere in cielo e sulla terra”. Quale potere? Lui è il maestro che edifica, che si muove verso tutti i popoli per farne discepoli. Un potere trasmesso ai discepoli, che, però, restano tali. Vivissimo è il contrasto tra la fragilità dei discepoli e la pienezza di potenza data a Gesù dal Padre, frutto prezioso e definitivo del sacrificio di Pasqua. Una potenza che seguirà i discepoli, accompagnandoli, nella missione di far discepoli, battezzare ed insegnare ad osservare.

Gesù, porta di accesso al mistero del Dio cristiano, al termine della sua vicenda terrena, convoca i suoi sul monte dinanzi al mondo e li manda perché tutti gli uomini conoscano e vivano di questo Dio. Gesù ha compiuto la sua opera di rivelazione, ma non termina la sua presenza; anzi, proprio lo speciale rapporto che il risorto ha con ogni uomo è la motivazione dell’universalità della missione della Chiesa. Il Vangelo del Dio cristiano deve essere annunciato ad ogni uomo, perché Gesù è la verità dell’uomo.

La nostra vita inizia nel segno della Trinità (battesimo), al matrimonio l’amore sponsale è stato benedetto nel segno della Trinità, riceviamo il perdono nel nome della Trinità, chiuderemo la vita nel segno della Trinità. Tutta la nostra vita è nel segno della croce e nel nome di Dio-Trinità.

Gesù, porta di accesso al mistero del Dio cristiano, al termine della sua vicenda terrena, convoca i suoi sul monte dinanzi al mondo e li manda perché tutti gli uomini conoscano e vivano di questo Dio. Gesù ha compiuto la sua opera di rivelazione, ma non termina la sua presenza; anzi, proprio lo speciale rapporto che il risorto ha con ogni uomo è la motivazione dell’universalità della missione della Chiesa. Il Vangelo del Dio cristiano deve essere annunciato ad ogni uomo, perché Gesù è la verità dell’uomo.

Siamo alla fine del Vangelo di Matteo, in Galilea, dove tutto è cominciato, dalle prime parole di Gesù alle prime chiamate dei discepoli. Ora sul monte della Trasfigurazione, dove si sono mostrate l’umanità e la divinità del Figlio di Dio, viene spiegato e annunciato tutto il dono di Dio e tutto quello che da esso nasce. I discepoli vedono Gesù come Egli è e lo adorano prostrandosi innanzi, come atto supremo di comunione, d’amore e di abbandono totale.

Il mistero abissale e ineffabile di Dio – dei Tre che sono Uno! – non solo si è svelato e reso vicino nella persona e nella vita di Gesù, ma proprio per questo ci dice che anche la vita degli uomini è modellata sulla vita di Dio.

C’è un passo ispirato del Vaticano II, nella Costituzione Gaudium et Spes, che lo dice con parole semplici e vertiginose: “Il Signore Gesù quando prega il Padre perché tutti siano una sola cosa, come io e te siamo una cosa sola, mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nella carità. Questa similitudine manifesta che l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé“. Significa che la somiglianza dell’uomo con Dio è connessa – legata! – alle relazioni interpersonali, all’amore tra le persone umane: la sola analogia possibile con le relazioni tra le Persone divine della Santissima Trinità.

Gli apostoli non hanno usato il termine Trinità. Il bisogno di avere una sola parola per dire la fede nelle tre Persone è venuto con la nascita di alcune eresie. Gli apostoli però sapevano comunicare la fede nel Padre che Gesù ha fatto conoscere col suo amore fino a dare la propria vita e che noi possiamo chiamare Abbà, la fede nello Spirito che Gesù ha ricevuto dal Padre al Giordano e riconsegnato sulla croce, la fede in Gesù, Figlio di Dio, datore di vita e di salvezza col perdono dei peccati.

La fraternità. San Francesco non pensava di fondare un ordine religioso. Lo vide crescere intorno a sé spontaneamente. «Due anni dopo la conversione, alcuni uomini si sentirono stimolati dal suo esempio a fare penitenza e a unirsi a lui, rinunziando a tutto, indossando lo stesso saio e conducendo la stessa vita» (Leg. Tre Comp. 27). I primi compagni sono un nobile, Bernardo di Quintavalle, un prete, Pietro Cattani, e un semplice popolano, Egidio, quasi a simboleggiare l’attrazione esercitata su tutte le categorie del popolo di Dio. Dopo di loro rapidamente il numero cresce e diventa una moltitudine. Moltitudine di fratelli, animati dall’amore reciproco, come si addice ai seguaci di Cristo e ai figli del Padre celeste. Francesco dà a loro la regola di vita. Il loro ideale è cercare di vivere solo di Dio il più possibile. Dio deve essere il tutto. Egli basta da solo a rendere felici anche in questa vita. Nella regola non bollata scrive: «Niente altro dobbiamo desiderare, niente altro volere, niente altro ci piaccia e ci diletti, se non il Creatore, Redentore e Salvatore nostro, solo vero Dio, il quale è la pienezza del bene, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene, lui che solo è buono, che è tenero, mite, soave e dolce, che solo è santo, giusto, vero e retto, che solo è benigno, innocente, puro […] Niente dunque ci sia di impedimento, niente ci separi, e niente si metta in mezzo. […] In ogni luogo, in ogni ora, in ogni tempo, ogni giorno e ininterrottamente […] amiamo, onoriamo, serviamo, lodiamo e benediciamo, glorifichiamo e ringraziamo l’altissimo e sommo Dio eterno, la Trinità e l’Unità, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo» (Reg. N.B. 23).

Anche Teresa, l’adolescente entrata nel Carmelo di Lisieux a 15 anni e morta a 24, la più giovane “dottore della Chiesa”, scoprì nella sua breve vita la partecipazione alle relazioni trinitarie proprio nel rapporto con le altre sorelle: reciprocità e gratuità, abbassamento (piccolezza) e carità. La piccola Teresa scoprì, proprio nell’amore all’altro, la chiave per aprire il mistero di Dio che è Padre, Figlio e Spirito. Se un filosofo è arrivato a dire che “l’altro è l’inferno“, il cristiano sa che l’altro è il suo cielo.

Il Vangelo di Matteo termina con un apostolo in meno. Sono undici, non più dodici, i discepoli convocati sul monte per l’invio missionario sino ai confini della terra. La ferita nel collegio apostolico dice sempre la sproporzione tra la santità del compito e la povertà del mezzo; è la storia di ciascuno di noi. Da notare l’accostamento: i discepoli si prostrano davanti a Gesù, ma dubitano; hanno fede e conservano il dubbio, la fatica di credere. Forse per questo Gesù non solo si fa vedere, ma si avvicina, riduce ulteriormente la distanza e moltiplica l’incoraggiamento, basandosi sulla sua potenza: a me è stato dato ogni potere in cielo e in terra! Andate, dunque!

La grande missione di far discepoli tutti i popoli, figli dell’unico Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo, è attuale anche oggi; siamo sempre all’inizio del mandato poiché in molti luoghi deve essere ancora intrapresa, ma anche perché in altre terre deve essere ri-cominciata da capo. Non si dice, infatti, che viviamo in paesi post-cristiani? In società secolarizzate? Quanti luoghi – di antica fede cristiana – oggi sono letteralmente dei deserti di rovine?

Ciò che fa fiorire il deserto è la promessa – mantenuta! – della presenza di Gesù fra noi, fino alla fine del mondo. La storia della Chiesa, la fede dei santi e dei piccoli, i miracoli, la bellezza della dottrina, la testimonianza di tanti … ne è la prova. Tutti i giorni facciamo l’esperienza della sua presenza.

Emerge la figura di Gesù maestro, che trasmette ai discepoli il potere ricevuto dal Padre. La convocazione sul monte in Galilea è immagine della liturgia, la messa domenicale. Lì facciamo esperienza della sua presenza nell’Eucaristia, nella Parola, nella fraternità della comunione, nel mandato missionario.

San Paolo VI, uomo pensoso e fervido credente, scrisse il suo “credo”: “Noi crediamo in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, creatore delle cose visibili, invisibili e Creatore in ciascun uomo dell’anima spirituale e immortale. Noi crediamo che questo unico Dio (…) è Colui che E’, ed egli è Amore: cosicché questi due nomi, Essere e Amore, esprimono ineffabilmente la stessa Realtà divina di colui che ha voluto darsi a conoscere a noi (…). Dio solo può darci la conoscenza giusta e piena di se stesso, rivelandosi come Padre, Figlio e Spirito Santo, alla cui eterna vita noi siamo chiamati per grazia di lui a partecipare, quaggiù nell’oscurità della fede e, oltre la morte, nella luce perpetua, l’eterna vita“.

Ho trovato questo apologo. Ci sono tre eremiti. Vivono da soli in un’isola deserta. Passa il Vescovo in visita pastorale. Si ferma anche da loro. Chi siete? Siamo tre eremiti. Cosa fate? Facciamo gli eremiti. Come passate le vostre giornate? Pregando. Come pregate? Diciamo: “Signore, noi siamo tre, tu pure sei tre, abbi pietà di noi!”.

Mons Angelo Sceppacerca26 maggio 2024

Fonte:https://www.diocesitrivento.it/