Don Luciano Labanca “Il dolce mormorio del silenzio”

XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (16/06/2024)Liturgia: Ez 17, 22-24; Sal 91; 2Cor 5, 6-10; Mc 4, 26-34

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Commento

La liturgia di questa domenica ci dona due brevi parabole di natura agricola, proposte da Gesù nel discorso riportato dall’Evangelista Marco nel quarto capitolo del suo Vangelo. Nella prima si coglie fortemente la potenza nascosta del Regno di Dio, ossia della sua signoria sull’uomo, sul mondo e sulla storia. L’azione iniziale con cui il contadino getta il seme è imprescindibile, ma non esaustiva. La dinamica decisiva è data dalla forza intima di questa vita nascosta nel seme, che a prescindere dall’azione e dalla consapevolezza dell’uomo, la terra produce “automaticamente” (automate) fino alla maturità della spiga. Così è la vita divina: nascosta nelle pieghe della storia e nelle trame contorte delle esistenze umane, essa ha in sé stessa una potenza trasformatrice, che non dipende dall’uomo. Dio ha i suoi tempi e i suoi ritmi, ma nel silenzio e nel nascondimento della terra, trasforma tutte le cose, generando il frutto del suo Regno senza rumore e senza spettacolo. Troppo spesso noi pensiamo di essere i protagonisti indiscussi della nostra vita, gli artefici esclusivi ed assoluti del nostro destino, dimenticando che – come battezzati e discepoli di Cristo – nel nostro cuore e nella nostra vita abita e agisce la potenza dello Spirito, che “come un un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: Vieni al Padre” (Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani, VI). L’altra parabola proposta da Gesù è quella del granello di senape, uno dei semi più piccoli presenti in natura, ma da cui viene generato un albero imponente, i cui rami possono diventare la casa per gli uccelli del cielo. Così è per le “cose di Dio”: a volte una parola buona, un gesto di gentilezza, una carezza, un’attenzione verso il fratello, possono sembrare elementi irrilevanti, eppure sono capaci di toccare e trasformare la vita di tante persone, divenendo come i rami del grande albero di senape, che assicurano riparo e ombra a tante creature. Questa è la logica del Regno di Dio: non sono i numeri, le statistiche, le conquiste di spazi e di influenze o l’impatto sociale delle iniziative umane che cambiano la storia, ma la cooperazione dell’uomo all’opera della grazia, che ci precede, ci accompagna e ci segue sempre in tutto ciò che possiamo compiere con il suo aiuto. Può capitarci che, lasciandoci impressionare dal rumore e dalla spettacolarità del male, dimentichiamo lo stile di Dio, quello di un bene totalizzante, vero e profondo che non fa rumore, ma ha la forza trasformante e creatrice. L’esperienza del profeta Elia sul monte Oreb ci dà molta luce: “Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera” (1Re 19,11-12). Che lo Spirito Santo possa dare a tutti noi la capacità di riconoscere sempre di nuovo in questo dolce mormorio del silenzio la voce inconfondibile di Dio, che è sempre più forte del rumore assordante e molesto del male.

Bene-dire (a cura di Mons. Francesco Diano)

«Non si sa come fosse capitato là, ma nella manciata di grossi e lucidi grani di frumento c’era un semino nero nero, così piccolo che era quasi invisibile. Il contadino buttò la manciata di semi nella terra aperta dall’aratro. Con grande dignità e profonda consapevolezza della loro missione, i semi di grano presero posto nelle loro culle di buona e profumata terra. Ma quando arrivò il semino nero, scoppiò tra le zolle una gran risata. “Pussa via, sgorbietto inutile!”, brontolò stizzito un grasso seme di frumento che si era visto piovere il semino nero proprio sulla pancia. “Chiedo scusa, signore”, mormorò il granellino. “Sono spiacente”. “É il seme più ridicolo che mi sia capitato di vedere!”, sbraitò il bulbo di una cipolla selvatica. Le erbe del fossato, vecchie e pettegole, cominciarono a dire malignità di ogni sorta sui semi moderni che ciondolano qua e là e non riescono a combinare niente. Anche i semi di papavero ridevano e l’avena, già alta, diffuse il suo parere al vento: “Divento gialla se ne uscirà una fogliolina sola”. Il piccolo seme si sentì avvilito da quelle voci di disprezzo, che il vento, gran chiacchierone, sparpagliava dappertutto. Si fece ancora più piccolo, in un cantuccio di terreno, ma non si scoraggiò. Non aveva nessuna intenzione di mancare alla sua missione. Qualcosa era pur capace di fare! Sognò di crescere alto fino a sovrastare le canne dello stagno… “Chissà se l’avena diventerà gialla per davvero”, pensò. Voleva riuscirci a tutti i costi! Lasciò che i grossi semi di frumento si crogiolassero pigramente deridendolo e facendosi beffe della sua piccolezza. Egli affondò subito le radici nel terreno umido e pieno di squisito nutrimento. Fu un inverno faticosissimo per lui. Gli altri semi si godevano il tepore profumato della terra, facevano le cose con calma. Il piccolo seme invece ce la metteva tutta. Sbuffava, sudava, ma impegnava nella sfida tutte le sue forze. C’era freddo fuori! Non importava. Il piccolo seme si aprì la strada verso il cielo senza paura. Venne l’estate. I viandanti che percorrevano la stradina accanto al campo di grano si fermavano e additavano meravigliati una pianta alta e rigogliosa che dominava la distesa del grano. Un mattino luminoso passò anche Gesù. Chiacchierava con i suoi Apostoli, parlando loro dei gigli del campo e degli uccelli dell’aria. Giunto davanti alla pianta si fermò e la guardò con intensità. I passerotti smisero di far chiasso e anche il vento, che si divertiva a far frusciare gli steli del grano e ad arruffare l’erba del fosso, tacque sospeso. Gesù sapeva dell’enorme fatica del piccolo seme nell’inverno e volle coronare la fiducia che aveva avuto in sé stesso. Disse: “Guardate il granello di senape. È il più piccolo di tutti i semi, ma quando è cresciuto, è più grande di tutte le piante dell’orto; diventa un albero, tanto grande che gli uccelli vengono a fare il nido in mezzo ai suoi rami”. Il frumento, che si aspettava qualche elogio sulla sua importanza, quasi seccò dall’invidia. E il piccolo seme, là sotto, moriva di gioia».

Preghiera

Gesù, Seminatore divino, mettiamo davanti a Te la terra del nostro cuore, perché Tu vi possa seminare la tua Parola. Tu vedi se il nostro cuore ha la durezza della strada, calpestata da tutti, se è pieno di sassi che ostacolano la penetrazione della Parola, se è pieno delle spine delle nostre passioni indisciplinate.
Se il nostro cuore è duro, dissodalo con pazienza e con la Tua bontà infinita, liberalo dalla superbia che lo rende intransigente, te lo diciamo con timore, ma se è necessario, lavoralo con il vomere dell’umiliazione, ma mentre lo lavori, sostienici con la tua grazia, perché l’orgoglio non si trasformi in disperazione.
Se vedi che il nostro cuore è pieno dei sassi delle nostre trasgressioni, che sono diventate abitudini e alle quali noi consentiamo per superficialità e tiepidezza spirituale, scuotici forte, Signore, perché riusciamo a prendere in seria considerazione la nostra conversione.
Se vedi che le nostre passioni si aggrovigliano togliendo al nostro cuore la luce del sole divino, estirpale e ripulisci questo terreno, perché possa rigenerarsi alla Tua luce e possa produrre frutti di bene, frutti di amore, frutti di speranza, frutti di bontà. Amen.

Fonte:https://caritasveritatis.blog/


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