Don Massimo Grilli Commento Ascensione del Signore (Anno B) 

Ascensione del Signore (Anno B)  (12/05/2024) Liturgia: At 1, 1-11; Sal 46; Ef 4, 1-13; Mc 16, 15-20

Il tema del giorno
Il mistero dell’Ascensione fu compreso nei primi secoli della chiesa in stretto rapporto con la
Pasqua e con tutto il movimento di abbassamento e innalzamento che aveva caratterizzato la vita di
Gesù. Le antiche omelie pasquali leggevano l’innalzamento di Gesù come «vita che esce dalla tomba,
guarigione che esce dalla piaga, risurrezione che esce dalla caduta e ascensione che esce dalla
discesa». La Chiesa delle origini, dunque, non lesse la dipartita di Gesù come scomparsa, ma come
ascesa di Colui che era e rimane presente, anche quando non è più visibile allo sguardo umano. Ed è
proprio questa presenza-assenza il motivo dominante delle letture odierne: una condizione che ha
definito non solo le prime generazioni cristiane, ma è divenuta lo statuto fondamentale di ogni
credente, posto tra il già della salvezza portata da Cristo e il non ancora della salvezza definitiva. Di
questa dimensione strutturante dell’esistenza cristiana vorrei sottolineare tre aspetti, che emergono
dalle letture odierne e che vanno letti in stretta relazione.
Prima lettura: At 1,1-11
Il primo fondamento che connota la fede cristiana (così come presentata dagli Atti degli Apostoli),
è Cristo: unica ragion d’essere della Chiesa. Non esiste altro riferimento che a Lui, a ciò che egli
«fece e insegnò, dall’inizio fino al giorno in cui fu assunto in cielo…». Non c’è un tempo di Gesù e
un tempo della Chiesa, perché la chiesa vive in riferimento a Cristo. Questo significa che una Chiesa
non vive di sé stessa e per sé stessa. Una comunità cristiana che si preoccupasse solo di sé e della sua
sopravvivenza, affidandosi alle casse di risonanza e agli architetti del potere mondano, una comunità
cristiana che poggiasse la sua fede solo sulla visibilità e sul mito del successo, sarebbe destinata
inevitabilmente al fallimento, perché la Chiesa è di Cristo! Lo diceva già Ignazio di Antiochia: «Non
abbiate Gesù Cristo sulle labbra, e il mondo nel cuore…». Lo ribadiva, alcuni decenni fa il patriarca
ecumenico ortodosso della chiesa di Costantinopoli, Atenagora, il quale lanciava un ammonimento
ai cristiani di tutte le confessioni: «I sedicenti cristiani non vivono la risurrezione, non vivono da
risorti! Hanno perduto lo spirito del Vangelo. Hanno fatto della chiesa una macchina, della teologia
una pseudo-scienza, del cristianesimo una vaga morale… Abbiamo bisogno di uomini che facciano
l’esperienza della risurrezione di Cristo…». Il regno di Dio si costruisce con la potenza del Risorto e
non con l’appoggio dei regni di questo mondo. Lo vogliamo o non lo vogliamo, non c’è altra via che
questa.
Da questo primo e importante fondamento, appena menzionato, il libro degli Atti ne fa scaturire un
secondo, bene espresso dalle parole con le quali i due uomini in bianche vesti apostrofano gli apostoli
che stavano fissando il cielo: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?». Anche nel
racconto della tomba vuota, Luca ricorda il rimprovero dei due uomini in bianche vesti alle donne
accorse alla tomba: «Perché cercate il vivente tra i morti?» (Lc 24,4). Il rimprovero ha la funzione di
distogliere i discepoli da una comprensione distorta dell’ascensione di Cristo al cielo e di richiamarli
al compito che sta loro dinnanzi. Il tempo del già e non ancora è il tempo dell’annuncio del Regno e
delle decisioni, della fatica quotidiana e del servizio. Gli uomini della risurrezione non amano il cielo
a scapito della terra, perché le attese del Regno definitivo coincidono con le speranze quotidiane
dell’uomo, e i gemiti dello Spirito si manifestano nei gemiti dell’uomo che ha fame e sete, è nudo,
straniero, carcerato… Pensare alle cose di lassù non significa rinchiudersi nelle cittadelle ecclesiali o
curiali, tra inchini accattivanti e incensi alienanti, ma diventare viandanti e pellegrini, insieme alle
donne e agli uomini che gridano, piangono, faticano… Pensare alle cose di lassù significa amare la
terra che ci porta, senza dimenticare la meta. La storia sacra è la storia dell’uomo, con le sue
aspirazioni alla vita e alla dignità e la Pasqua è il seme messianico gettato tra le radici delle attese
umane.
Il Vangelo: Mc 16,15-20
A questo secondo aspetto è strettamente unito il terzo: la dimensione universale del cammino
cristiano. Ce lo ricorda la pagina conclusiva del Vangelo di Marco, riconosciuta come parola ispirata,
anche se certamente posteriore al Vangelo autentico scritto da Marco (che si conclude al v. 8). Si
tratta, comunque, di una pagina dalla prospettiva universale e non solo perché i discepoli sono inviati
ad annunciare il Vangelo in tutto il mondo ed a ogni creatura, ma anche per i segni che
accompagneranno l’annuncio. Dire universalità non significa dire qualcosa di astratto ed evanescente,
perché l’universalità cristiana è di carattere antropologico e teologico. Dire universalità significa
mettere il baricentro non dentro i confini sacri del tempio o della legge, ma dentro le attese autentiche
dei popoli e degli uomini: là dove la promessa di Dio è tanto più carica di senso in quanto più profondi
e radicali sono i bisogni. Ce lo ricorda la struttura stessa del libro degli Atti, che presenta il viaggio
della Parola da Gerusalemme a Roma: dal centro della vita religiosa al centro dell’impero.
Il viaggio della Parola da Gerusalemme a Roma mostra la comprensione che la Chiesa primitiva
aveva di sé stessa: essere testimone di un messaggio salvifico senza confini. La tentazione costante
dei credenti è la stessa di alcuni ebrei della prima ora, biasimati da Paolo: dividere il mondo in
circoncisi e incirconcisi, con la facile tentazione di considerare i primi (e, dunque, sé stessi) salvati e
gli altri dannati. Nella storia della chiesa, l’appartenenza a una razza, a una cultura, a una tradizione…
è stata spesso confusa con l’autentica via di salvezza. Proprio il libro degli Atti ci ricorda che Dio ha
guidato la sua chiesa per strade impensate, che soltanto la nostra pigrizia mentale ha potuto sbarrare
a determinate categorie di persone. Dal capitolo sesto del libro degli Atti, il cammino della Parola
raggiunge i samaritani, e poi via via gli eunuchi, i centurioni romani, i pagani… senza lasciar fuori
nessuno, perché la verità autentica è che «Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica
la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto. Questa è la Parola che egli ha inviato
ai figli di Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di
tutti» (At 10,34-36). Noi siamo avvezzi a dividere il mondo in giusti e ingiusti, pii e reprobi,
intelligenti e ignoranti… La logica di Dio è una logica che non ci appartiene, perché, mentre noi
separiamo e creiamo steccati, Dio dà senso a tutto ciò che esiste.
Di qui nasce il compito dei cristiani nel mondo, che è, poi, quello testimoniato dalla festa
dell’ascensione. Come Cristo, con la sua ascensione al Padre, non è fuggito dal mondo e dall’uomo,
ma li ha trasfigurati, così la via del credente non è la fuga o la paura del mondo, ma la sua
trasformazione. Il cristiano è chiamato a scorgere i germogli pasquali che sbocciano qua e là nel cuore
del creato e delle creature, perché l’ascensione nasconde il sogno di un mondo, non più sottoposto
alla schiavitù della corruzione e della morte, ma al gemito di vita che esce dalle tombe. La fede
nell’ascensione è la fiducia nella trasfigurante verità della Pasqua: una sfida portata nel cuore del
cristianesimo. «Una cristianità che si incanta dietro memorie, e che ripete senza spasimo gesti e parole
divine, e per cui l’alleluia è solo un rito e non la trasfigurante irradiazione della fede e della gioia
della vita che vince il male e la morte dell’uomo, come può comunicare i segni della Pasqua?»
(Mazzolari). La Pasqua e l’Ascensione del Risorto è la chiamata a liberare l’annuncio evangelico
dalle strettoie dove spesso lo abbiamo ingabbiato.

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano

Fonte:https://diocesitivoliepalestrina.it/