Don Paolo Zamengo”Andate e raccontate”

Ascensione del Signore (Anno B)  (12/05/2024) Liturgia: At 1, 1-11; Sal 46; Ef 4, 1-13; Mc 16, 15-20

Qualcuno dice che l’Ascensione sta per diventare la cenerentola delle
feste cristiane. La risposta non è difficile: l’Ascensione è poco sentita
perché la Chiesa esita a fare festa nel momento in cui il suo Signore se
ne va. La Chiesa festeggia il Signore che viene, ma non il Signore che
parte; acclama colui che appare, ma non colui che scompare.
Con l’Ascensione Gesù diventa invisibile. L’invisibilità fa problema. Mi
hanno colpito queste parole “L’invisibilità uccide”. Sì, questo è un
pericolo. Non è forse vero che nell’invisibilità ci si allontana? Abbiamo perfino coniato un proverbio:
“Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Quasi a dire che quando viene meno la visibilità viene meno
anche la relazione. È proprio questo che accade sul monte degli Ulivi. E’ scritto: “Fu elevato in alto sotto i
loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo…”.
Lontano dagli occhi, ci chiediamo, lontano anche dal cuore il Signore? La storia che segue, non quella
narrata dagli Atti degli Apostoli, ma quella dei secoli successivi, la storia dei discepoli di oggi, la storia dopo
l’Ascensione contiene una sfida al proverbio e dimostra che la lontananza dagli occhi di Gesù, la sua
invisibilità, non lo ha cancellato dal cuore dei cristiani. L’invisibilità non significa assenza, ma un altro tipo di
presenza, quella dello Spirito santo con il quale Gesù paradossalmente è più vicino di prima: prima stava
“con loro”, adesso sta “dentro” di loro”.
Paradossalmente la visibilità di Gesù a cui, a volte, guardiamo con nostalgia, la visibilità del passato,
quando le folle lo toccavano, quando la donna peccatrice lo ungeva e lo profumava, quella visibilità era
anche un limite perché tratteneva Gesù: lo tratteneva in un piccolo paese, nei confini che delimitavano la
sua azione. Quante migliaia di persone lo videro, lo ascoltarono? Poche senz’altro.
Da quando è asceso al cielo, pensate quante storie di uomini e di donne, miliardi di storie, e noi siamo una
di quelle storie. Quante storie di uomini e di donne hanno stretto un legame con l’invisibile Signore? Gesù
lontano dai nostri occhi vive, vive con la sua presenza, con la sua parola, con la sua luce, con la sua
consolazione, nei nostri cuori.
La festa dell’Ascensione proprio perché sottrae il Signore ai nostri sguardi, ci fa vivere i nostri giorni anche
come attesa. Perché state a guardare il cielo? Gesù tornerà un giorno, allo stesso modo in cui l’avete visto
andare in cielo. Non è facile imparare l’attesa, aspettare Dio. Anche nella chiesa a volte abbiamo più l’aria
di chi possiede, che non lo sguardo di chi attende. È impegnativo vivere l’attesa.
L’evento che la comunità cristiana celebra oggi, l’Ascensione (il nome stesso è appropriato!), avviene su un
monte. L’evangelista Matteo racconta: «Gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva
loro fissato». Il simbolo è molto ricco: occorre salire in alto se vogliamo raccogliere l’eredità di un
messaggio che ha sempre avuto nell’ambiente della montagna il suo luogo di annuncio privilegiato. Al
basso, invece, alla pianura e alla città, associamo le immagini delle comodità, di ciò che è borghese,
superficiale, di un mondo certo familiare, ma privo di coraggio, teso solo alla quotidianità, alla monotona
ripetitività, forse.
Ma c’è di più. Qui l’alto, cioè il monte, ha anche il compito di farci intuire o sognare un orizzonte più largo,
spazi intorno ai quattro punti cardinali, che significano apertura, sconfinamento, universalità. Non sono
soltanto gli abitanti di Gerusalemme i destinatari della salvezza, ma tutte le nazioni, ormai messe al
corrente che si può vivere e morire per la giustizia, per la libertà, per la pace, e per questo sono e siamo
tutti invitati a diventare discepoli di Gesù, nella ricchezza di una «vita donata» per l’intera umanità. Ma
non è facile per noi sopportare di non avere Dio e l’ aspettare Dio….Ma è quello che ci insegna la festa
dell’Ascensione: andate e raccontate.


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