Figlie della Chiesa Lectio XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (16/06/2024)Liturgia: Ez 17, 22-24; Sal 91; 2Cor 5, 6-10; Mc 4, 26-34

Siamo nell’undicesima domenica del tempo ordinario e la Chiesa ci fa pregare attraverso un brano di vangelo pieno di vita, ci porta in un contesto di immersione nella natura che oggi comincia a diventare un po’ lontano dal nostro quotidiano, mentre fino a qualche decennio fa era il centro della vita sociale. Nella pericope del Vangelo di Marco, infatti, il Signore paragona il Regno di Dio al decorso naturale della vita di un seme, dando così un messaggio forte e chiaro ai suoi interlocutori.

I personaggi che incontriamo in questa prima parabola sono l’uomo, la terra e il seme.

In primis troviamo l’uomo e la terra: essi sono in profonda relazione tra di loro e ciò rimanda a Genesi 1,28, dove leggiamo: “Dio li benedisse; e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra»”.

Non si tratta naturalmente di un dominio che va nel senso dell’oppressione, ma di un potere dato all’uomo di custodirla, di prendersene cura, dal momento che egli stesso è stato tratto da essa, come leggiamo sempre in Genesi 2,7: “Dio, il Signore, formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un’anima vivente”.

Dalla polvere non nasce vita, se non interviene il soffio di Dio. Nell’uomo pertanto troviamo l’unione tra ciò che è materiale e ciò che è divino; e Dio Padre creatore ci ha dato la possibilità di entrare in relazione prima con lui e poi con tutto ciò che ci circonda.

Alla luce di questo dono l’uomo entra in relazione con tutto ciò che Dio ha creato e la consapevolezza del “prendersi cura” fa sorgere una nuova relazione tra terra e uomo.

In secondo luogo nella parabola viene in primo piano un piccolo seme, destinato a portare il  frutto che è il chicco di grano maturo; ma come si svolga il processo dalla semina al compimento l’uomo non lo sa e in fondo neanche il terreno. L’avverbio “spontaneamente” fa pensare alla naturalezza di un gesto, di un’azione, che hanno potenzialità straordinarie, che scaturiscono da una forza interiore a noi sconosciuta; proprio come quando una donna scopre di avere in grembo una nuova vita… spontaneamente, con naturalezza, cambia il suo modo di vivere per proteggerla. È anche ciò che nella spontaneità fa il terreno: cerca di proteggere il seme per far sì che non sia danneggiato, e tutto ciò avviene spontaneamente, perché è frutto di una relazione d’amore.

Nella parabola l’uomo che ha in mano il seme compie soltanto il movimento di affidarlo al terreno, poi non può fare altro che aspettare che esso faccia il suo corso e torna in scena soltanto al momento della mietitura. Nell’attesa può contemplare con meraviglia l’evoluzione della natura ma deve lasciare che il seme faccia tutto da sé: si schiude e timidamente viene fuori, si lascia accarezzare dal vento, si lascia bagnare dalla pioggia, si lascia baciare dal sole e la spiga, sentendosi amata, porta frutto. Il suo frutto è il sostentamento dell’uomo che al tempo opportuno può coglierlo e gustarlo facendolo diventare pane.

Papa Francesco, qualche anno fa, commentando il versetto di Gv 12,24: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto», diceva che  questa affermazione contiene una parola a lui tanto cara, perché è cara al Vangelo: Speranza.

Gesù ha portato nel mondo una speranza nuova e lo ha fatto alla maniera del seme: si è fatto piccolo, come un chicco di grano; ha lasciato la sua gloria celeste per venire tra noi: è “caduto in terra”. Ma non bastava ancora. Per portare frutto Gesù ha vissuto l’amore fino in fondo, lasciandosi spezzare dalla morte, come un seme si lascia spezzare sotto terra. Proprio lì, nel punto estremo del suo abbassamento – che è anche il punto più alto dell’amore – è germogliata la speranza.

E continuava: Se qualcuno di voi domanda: “Come nasce la speranza”? “Dalla croce. Guarda la croce, guarda il Cristo Crocifisso e da lì ti arriverà la speranza che non sparisce più, quella che dura fino alla vita eterna”. E questa speranza è germogliata proprio per la forza dell’amore: perché è l’amore che «tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor 13,7). …

La speranza supera tutto, perché nasce dall’amore di Gesù, che si è fatto come il chicco di grano in terra ed è morto per dare vita: da quella vita piena di amore viene la speranza” (cfr. Papa Francesco, Udienza generale, 12 aprile 2017).

Infine il testo evangelico odierno ci parla del seme di senape, che è più piccolo di tutti i semi ma allo stesso tempo diventa un arbusto più grande di tutti gli altri, tanto che può offrire una dimora agli uccelli del cielo.

Gesù forse ha passato in rassegna tutti i semi del creato per trovare quello più adatto al suo Regno, ma non ha scelto i più grandi e vistosi… lo paragona al più piccolo di tutti i semi, che tuttavia ha dentro una forza tanto grande che neanche lui, il seme, forse sa di avere, e si fida… Qui il Signore sembra puntare sulla “personalità” del seme, e la trova nel suo slancio di puntare verso l’alto e nella capacità di innalzarsi al di sopra di tutti gli altri.

Sorge qui la domanda: chi può entrare nel Regno di Dio?

La risposta possiamo trovarla in un altro commento di papa Francesco a questo brano evangelico: “Così è il Regno di Dio: una realtà umanamente piccola e apparentemente irrilevante. Per entrare a farne parte bisogna essere poveri nel cuore; non confidare nelle proprie capacità, ma nella potenza dell’amore di Dio; non agire per essere importanti agli occhi del mondo, ma preziosi agli occhi di Dio, che predilige i semplici e gli umili. Quando viviamo così, attraverso di noi irrompe la forza di Cristo e trasforma ciò che è piccolo e modesto in una realtà che fa fermentare l’intera massa del mondo e della storia” (Angelus del 2015).

Il Signore con le due brevi parabole di questa domenica, attraverso una “lezione di botanica”, ci insegna qualcosa che va oltre il nostro immaginario; la sua logica stravolge la nostra e ci indica la strada dell’umiltà, della piccolezza, per poter essere in grado di fare cose grandi. Da soli noi non possiamo fare nulla; tutto invece se ci affidiamo a Lui, prendendo Lui come  esempio, in modo da poter essere noi pure una “segnaletica” che indica a chi ci circonda la strada giusta per il Regno di Dio.

Fonte:https://www.figliedellachiesa.org