Luigi Verdi”Un granello di senape per aiutarci a guardare alto”

XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (16/06/2024)Liturgia: Ez 17, 22-24; Sal 91; 2Cor 5, 6-10; Mc 4, 26-34

Diceva Gesù: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Un maestoso e regale cedro del Libano oppure una secolare ed imponente quercia: se fossi stato io chiamato a paragonare il regno dei cieli a un albero, avrei scelto uno di questi due, per affermare la grandiosità e la potenza, la spettacolarità di Dio. Gesù invece come al solito ci spiazza con un modello inaspettato: il più piccolo tra tutti i semi, il più banale, il più comune, quello che fatichi a vedere tra l’erba, a cui non fai caso, poco più di niente. Invece di volgere il nostro sguardo verso il cielo, perché di cielo si parla, lo costringe a puntare verso il basso, ad aguzzare la vista per cercare nell’orto di casa l’insignificante granello di senape: non è lontano quel regno, ma già qui nascosto e vivo, non è da attendere e sospirare, ma solo da vedere, cercare, perché la terra è già cielo. Come dire che Dio non è inarrivabile, ma presente nella piccolezza di un seme, di un dettaglio, di un frammento. Come dire che il futuro è già qui se lo sai intuire. Vuole allenare i nostri occhi, il Maestro, vuole ripulirli dalla fretta e dalla superficialità per renderli attenti e innamorati come i suoi, che si incantavano sui gigli del campo, sul pizzico di lievito, sullo spicciolo della povera vedova o solo su un semplice bicchiere d’acqua. Leggero è Gesù, come seme trasportato dal vento, che utilizza, per farci capire, parole leggere laddove noi useremmo parole come macigni, tortuose, incomprensibili. Scriveva Rilke: «…A me piace sentire le cose cantare. Voi le toccate: diventano rigide e mute. Voi mi uccidete le cose» E Lui invece ci parla di fiori che sbocciano, alberi che crescono, voli di uccelli, campi biondeggiare di grano. Prende la realtà, quella che viviamo come banale, e la fa diventare eterno, afferra l’infinitamente piccolo e lo trasforma in misura dell’immenso: spazio e tempo, cielo e terra, istante ed eternità coincidono se solo riesci a vedere, così ci dice. E ancora ci invita a rispettare la vita e la sua lentezza, il suo ritmo fatto di solstizi e stagioni, di arsure e piogge, di sole e gelo: «come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa». Non accelerare, non forzare la primavera, non snaturare la vita: rischi di perderne il colore ed il sapore, il colore dei fiori sbocciati, il sapore del grano maturo. Se solo saprai guardare, quel granello di senape, preso anche come misura della tua fede, diventerà albero rigoglioso e forte, riparo e ombra, luogo dal quale si potranno sentire gli uccelli cantare, le cose cantare, cantare la vita.

Fonte:https://www.avvenire.it/


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