Annalisa Guida Commento XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (23/06/2024) Liturgia: Gb 38, 1.8-11; Sal 106; 2Cor 5, 14-17; Mc 4, 35-41

Proseguiamo nella nostra lettura semicontinua del Vangelo secondo Marco con l’immediato seguito del discorso parabolico che è stato proclamato domenica scorsa. Non capita di rado, in questo racconto, che un episodio di insegnamento sia seguito da uno di attraversamento del “mare” – e ricordiamo per inciso che quello di Galilea, per quanto ampio, è, in realtà, un lago (Tiberiade). Questi “attraversamenti” sono nel vangelo occasioni molto private di testare, da parte di Gesù, la comprensione che i discepoli a lui più vicini stanno maturando relativamente alla sua persona e al suo insegnamento. Va anche detto che in questi “test”, con sempre maggiore enfasi e distanza dalle richieste di Gesù, i discepoli falliranno miseramente. Ma veniamo al nostro episodio.

Un lungo giorno trascorso a raccontare e spiegare parabole sembra volgere al termine; sul fare della sera, quindi, Gesù prende l’iniziativa della traversata (v. 35). Poiché non ne viene esplicitata la ragione, ci si domanda cosa abbia intenzione di fare o dire più in disparte ai suoi (sebbene neanche sul lago essi riescano davvero a restare da soli, a motivo delle altre imbarcazioni che li seguono, v. 36). Ma il lettore quasi non ha il tempo di interrogarsi a riguardo che, ecco, improvvisamente si scatena  una tempesta molto grande le cui onde si infrangono contro la barca e le fanno imbarcare acqua (v. 37).

In questa scena che si agita e si complica tutt’a un tratto, inducendo il lettore a immedesimarsi nella paura di quegli uomini, un elemento assolutamente dissonante è introdotto dal narratore: “Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva” (v. 38). Come interpretare il sonno di Gesù (e in Marco non viene mai detto se non in questo punto che Gesù si mette a dormire!), tanto più che finora lo abbiamo visto operare instancabilmente per le strade della Galilea, senza un attimo di riposo? Il lettore accorto non può non sorprendersene e, se sta imparando a conoscere le singolari strategie rivelative di questo protagonista, comincia a supporre che quell’insolito sonno sia una provocazione o abbia una qualche valenza educativa: Gesù sembra farlo di proposito, per sondare la reazione dei discepoli.

Alla sveglia carica di risentimento da parte dei discepoli (che lo accusano senza riserve: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”, v. 38) Gesù non risponde direttamente; prima interviene sulla causa della loro paura, con una tale autorevolezza sulla natura (gli basta parlare e gli elementi naturali, vento e mare, si calmano, come bestie feroci che sia ammansiscono a un semplice cenno, v. 39) che ricorda le teofania veterotestamentarie in cui Dio impartisce ordine agli elementi naturali, che gli obbediscono.  Dopo, però, nel silenzio del vento placato e del mare ormai in bonaccia, risuona con enfasi il rimprovero di Gesù: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” (v. 40). Il modo di agire di Gesù nei confronti delle paure dei discepoli (e nostre) è estremamente acuto sul versante educativo: egli ha prima rimosso la causa della paura – ciò che, nell’immobilismo del terrore, impedisce all’uomo di ascoltare, capire, ragionare. Poi, però, con estrema durezza arriva il monito: con una domanda che quasi non ammette risposte, Gesù accusa i discepoli di essere “codardi” (deilòi) e sostanzialmente increduli: “Non avete ancora (oùpo) fede?”.

Dicendo «non ancora», Gesù asserisce che quello che essi hanno già visto e udito dovrebbe essere bastato per “avere fede”. Ma la paura che rimane nel cuore dei discepoli di fronte al prodigio è grande (in greco la perifrasi è molto ridondante, ephobètesan phòbon mègan, “si spaventarono di una paura grande”, v. 41). Come intenderla, dunque? Codardia? O paura mista a riverenza e rispetto, la stessa che accompagna le teofanie di Dio, un timore sacro di fronte alla potenza dell’Altissimo? Mentre persino mare e vento si sono sottomessi obbedienti (v. 41) a Gesù, Marco indugia a definire l’adesione interiore dei discepoli. Con una domanda ricca di pathos (che il lettore sente rivolta a se stesso), i discepoli si guardano l’un l’altro sbigottiti e si domandano: “Chi è dunque costui..?” (v. 41): si esplicita, dunque, nel racconto l’interrogativo sull’identità di Gesù, stranamente proprio sulle labbra di chi dovrebbe conoscerlo più da vicino! Mentre i demoni hanno dimostrato di sapere chi sia Gesù (cfr. Mc 1,24.34; 2,7) e le folle si chiedono “Cosa è mai questo?” (1,27); mentre i farisei e i capi gli domanderanno con quale autorità osi fare quello che fa (11,28), sono proprio i discepoli a chiedersi qui, per la prima volta: “Chi è mai costui?”.

Ma c’è ancora molta strada (e altre traversate) da fare: su questo interrogativo, infatti, Marco spezza sapientemente la tensione narrativa; l’episodio si chiude, a domanda irrisolta, mentre la barca si dirige lentamente verso un’altra riva.

Fonte:agensir.it


Lascia un commento