don Marco Pozza”(T)remare”

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (23/06/2024) Liturgia: Gb 38, 1.8-11; Sal 106; 2Cor 5, 14-17; Mc 4, 35-41

Chiedilo ad un marinaio e ti risponderà che le cose più importanti le impari quando tutto è calmo: con il mare calmo, nelle aule studio, leggendo gli appositi manuali di navigazione. Le cose fondamentali, però, le capisci solo affrontando la tempesta. È la vita: «Ci sono alcune cose che impari meglio nella calma, altre nella tempesta» (W. Cather) Il Vangelo è un mare in tempesta: gli evangelisti si divertono a seminare e raccontare di tempeste ad ogni piè sospinto nella storia del loro Gesù. Non sanno, però, nemmeno gli evangelisti perchè le tempeste si affaccino, come mai arrivino così improvvise, perchè siano così devastanti nel cuore di chi le deve affrontare. Ne illustrano tante. L’ultima: «Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciarono nella barca, tanto che ormai era piena». Una tempesta schifosissima, tra l’altro, visto che Cristo li aveva appena invitati a prendere il largo: «Passiamo all’altra riva». Lui, forse, era stanco della folla che lo incalzava ovunque, gli faceva ressa attorno. Ha voglia d’intimità, ha bisogno dei suoi spazi, sente il desiderio di ammaestrare la sua ciurma: perchè poi ammaestri la folla del mondo intero. La vera ragione, forse, è ancora più spicciola: sono bellissime da vedere le barche nel porto ma non sono costruite per questo. Le barche sono fatte per il mare aperto: «Passiamo all’altra riva».

La scena è da incubo per quei dodici marinai: le acque infuriano, la barca traballa ma, soprattutto, Cristo viaggia a rimorchio. E’ sfinito, è messo a poppa, ha preso il cuscino e «dormiva». Un Cristo che dorme, nella tempesta, è quanto di più scurrile e inimmaginabile l’uomo riesca ad immaginare, Nelle tempeste tu ti immagini che Cristo sia un soccorritore, l’uomo del pronto intervento, la corda alla quale aggrapparti. Non t’immagini Cristo che dorme come un ghiro, quasi a fregarsene della situazione nella quale versa la barca. Che, badate bene, se sta in piedi sulle onde non è per la presenza del Cristo (anzi!), ma perchè i marinai si fanno forza e si alternano a battere i remi controvento, senza olio nel motore. Resistono – alla tempesta, al sonno dell’Amico addormentato – perchè si fanno forza l’un altro, alimentandosi la speranza reciprocamente. Il che non è ragione sufficiente per non adirarsi con quell’unico che sembra non collaborare a questa forma di resistenza attiva: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» Detto con rispetto – è pur sempre il Cristo dei miracoli – ma detto perchè di certi dubbi ci si deve liberare per poi affidarsi completamente. L’ha insegnato la Madonna in persona: «Com’è possibile questo?» (Lc 1,34) rinfacciò all’arcangelo. Poi si affidò, ma prima volle guardare dritta in faccia il messaggero per capire se gli importasse o meno della sua storia. Cristo, in sogno, stava ragionando in sogno con gli amici di sempre: “Ditemi: è più felice l’uomo che sfida la tempesta e vive o chi rimane saldamente a terra e semplicemente esiste?” Il dibattito è tuttora in corso.

I marinai sono foglie: tremano, provano a resistere. Cristo è il tronco: resta immobile. Ci tiene, eccome, a mostrare che Lui non è affatto un menefreghista: «Si destò, minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia». Della serie: la vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia. Ed è Cristo, adesso, ad apparire come la tempesta che non t’aspettavi. Certe persone ti sorprendono all’improvviso, poi ti invadono, capisci che non puoi più scappare: «Perchè avete paura? Non avete ancora fede?» Loro, gli eroi della resistenza marina, lo guardano, s’impappina il loro dubbio. Se gl’importa di loro? Eccome se gli importa di loro: gli occhi di chi avrà conosciuto il dolore, diventeranno più splendidi dopo la tempesta. Eppoi in tantissimi promettono di salvar l’uomo dalle tempeste, dagli imprevisti della vita. Cristo si è specializzato nell’opposto: non salva “dalla” tempesta, rischia la faccia per salvarti “nella” tempesta. Attraversando la tempesta assieme, anche se darà l’impressione di non esserci. O, peggio, di essersi addormentato mentre (t)remi.

(da Il Sussidiario, 22 giugno 2024)


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