Pieve di Scandiano “Lasciare spazio a Lui”

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (23/06/2024) Vangelo : Mc 5,21-43

Qualora qualcuno fra noi seguisse il ritmo che la Chiesa propone per la preghiera quotidiana (in sostanza Liturgia delle Ore e celebrazione dell’Eucarestia), questi si accorgerebbe senza troppo sforzo come, nel corso della giornata, c’è una preghiera che spicca nettamente su tutte le altre, essendo ripetuta per ben tre volte: il Padre Nostro (posto alla conclusione delle Lodi, dei Vespri e all’interno della Messa).  

Il Padre nostro, come ben sappiamo, è una formula di preghiera che Gesù stesso insegna ai suoi discepoli e che i vangeli di Matteo e di Luca ci riportano in una forma molto simile a quella che noi conosciamo. Vorrei tuttavia soffermare l’attenzione sulle parole che il Maestro usa per introdurre questa invocazione: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6,7-8).

Secondo Gesù infatti i pagani, ossia coloro che non conoscono il Signore, pregano per convincere Dio, per ammorbidire la sua volontà, quasi per estorcergli un favore. Coloro invece che conoscono il Padre come un amico e che si sanno amati da lui come figli non si comportano in questo modo. Ebbene, mi sembra una dinamica che può essere ben rappresentata dal vangelo di questa domenica, che intreccia due storie simili: la prima è quella di un padre che sta perdendo la figlia, mentre la seconda (presentata dall’evangelista come un’inclusione all’interno della prima) vede come protagonista una donna tormentata da dodici anni da perdite di sangue.

Cominciamo dai versetti sull’emorroissa. Questa donna non parla, non implora Gesù, non cerca di convincerlo e non tenta nemmeno di comprendere se e come egli fosse disponibile a darle una mano; al contrario questa passa all’azione toccandolo, portando tutta la sua vita colma di dolore e di solitudine a contatto con la vita di Cristo. Quest’incontro tuttavia non è casuale: lei è in quel posto, così vicina a Lui, perché ha sentito parlare di Gesù e ha riconosciuto, anche se Marco non si dilunga nello spiegarci il come e il perché, che Egli era la risposta alla sua malattia e alla sua lacerante solitudine ed esclusione dettata dalla sua infermità. Prestiamo attenzione a questo dettaglio: questa donna non ha sentito parlare di un ennesimo medico, di qualcuno che le poteva dare consigli circa la sua infermità, ma non ha nemmeno sentito parlare di un’altra persona malata con la quale consolarsi dicendo: «Mal comune, mezzo gaudio» o «Siamo tutti sulla stessa barca». No, lei ha sentito parlare di Gesù e, senza sprecare parole né denaro, decide di toccarlo nella profonda convinzione che se riuscirà anche solo a lambire le sue vesti, sarà salvata (cfr. v.28).

Nel racconto che include le vicende dell’emorroissa, veniamo invece posti davanti al dolore di un padre, capo della sinagoga locale, la cui figlia sta morendo. All’inizio egli supplica Gesù di accorrere in suo soccorso, ma avviene un’interruzione nei programmi, come una distrazione: una donna tocca il Signore, facendogli impiegare del tempo prezioso, cosicché, nel frattempo, la fanciulla muore. Questa volta è Gesù che, senza sprecare parole, ordina alle folle di congedarsi e chiede solo a pochi discepoli di seguirlo. Presso la casa di Giairo è sempre il Cristo che, con la sua mano e con poche e misurate parole, ordina alla giovane di tornare alla vita, senza che la folla veda quanto sta succedendo perché un miracolo non è mai uno spettacolo per i curiosi, ma la conseguenza di un profondo movimento d’amore.

In conclusione, penso che questo vangelo ci chieda di affinare il nostro sguardo contemplativo sulla realtà, uno sguardo attento  e spirituale su come cresce il Regno di Dio e anche, forse, su come lo si annuncia. Bisogna fare spazio alle poche parole del Signore, senza soffocare chi ci ascolta di parole sprecate dall’uomo. È necessario fare spazio, per permettere agli altri di toccare non noi, ma il mantello di Gesù. A noi, oggi come sempre, è chiesto di portare il mondo ai piedi del Maestro, ma in ultimo dobbiamo anche obbedire alla Sua voce, che ci intima di uscire, di fare posto a questo rapporto che aspetta lo spazio e attende il tempo per crescere e portare vita lì dove c’era solo malattia e morte.

Fonte:https://www.pievescandiano.it/


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