Don Massimo Grilli Commento XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (23/06/2024) Vangelo : Mc 5,21-43

Lo scialo di guerre e rovine, che ogni giorno i media ci mostrano, sottolinea senza ombra di dubbio quanto la morte ci appartenga. Il grande poeta tedesco Rilke ha scritto che la morte è quel lato della vita che noi non possiamo illuminare e in fondo è proprio qui il nostro limite. Già i miti antichi presentavano l’uomo assediato dalla morte. In un grande poema mesopotamico, l’epopea di Gilgamesh, si narra che gli dèi, riservando per se stessi la vita, assegnarono all’uomo un destino di morte. A Gilgamesh, che andava in cerca della pianta dell’immortalità, un’ostessa predice: “Gilgamesh, la vita che tu cerchi non la troverai. Quando gli dei crearono l’umanità è la morte che stabilirono per gli uomini, e la vita la conservarono nelle loro mani”. Questa è la tragica verità, secondo il mito babilonese. Questo è il futuro dell’uomo. Contro questo istinto mortale che accerchia l’uomo, la Bibbia ebraico-cristiana si caratterizza, invece, per la sua passione di vita: YHWH è il Dio della vita e l’uomo è creato perché viva e perché la sua vita raggiunga la pienezza. Questa è la bella notizia che ci raggiunge oggi.

Prima lettura: Sap 1,13-15; 2,23-24

Il discorso sull’incorruttibilità, presentato dal libro della Sapienza, emerge come un canto fermo sin dalle prime pagine del libro e s’inserisce nel contesto di un discorso più ampio, che abbraccia la vita di relazione con Dio. Non si tratta tanto del concetto di immortalità, un pensiero della filosofia greca più che biblico, ma della comunione con Dio che il giusto, che ama la sapienza, sperimenta già in questa vita. La morte, infatti, non è stata una scelta di Dio; al contrario, è una scelta contro Dio, perché Dio ha destinato l’uomo alla vita. Anzi, Dio ha creato ogni cosa in vista della pienezza di vita. L’inno alla creazione sottolinea la positività dell’opera di Dio, senza limitazioni di sorta: egli infatti ha creato tutto per l’esistenza. Vengono in mente altri brani famosi, che costellano, come perle, diverse pagine bibliche. Come quello messo sulla bocca di Dio nel libro di Ezechiele: forse che Io ho piacere della morte del malvagio – dice il Signore – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva? (18,23). Dio non gode della rovina del mondo e delle sue creature, ed è per questo che l’autore del libro della Sapienza richiama fortemente la creazione, quando Dio vide che tutto era buono. Essere stato creato a immagine di Dio conferisce all’essere umano quel carattere di incorruttibilità che è proprio della vita di Dio stesso, come si afferma in un altro passaggio del libro: l’incorruttibilità è stare vicino a Dio (Sap 6,19). In questa visione troviamo, per la prima volta nella bibbia, l’affermazione che la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo. I primi capitoli della Genesi non parlavano del diavolo, ma del serpente, una figura mitica che nell’oriente era simbolo di astuzia, fecondità… e che, agli occhi dell’autore del racconto della creazione, divenne l’idolo tentatore e corruttore. Il libro della Sapienza introduce il diavolo come origine del male e della morte, una figura che è divenuta poi comune nella tradizione ebraico-cristiana. Ma la menzione del diavolo è in linea con quanto presentato dal libro della Genesi, perché si tratta comunque dell’idolo e dell’idolatria che sta all’origine del cammino di morte che contrassegna la vita umana. Il messaggio è chiaro: la morte è estranea all’intenzione originaria del creatore; la morte è scelta da chi investe di potere divino gli esseri umani e le loro costruzioni idolatriche. Un invito perenne a riconsiderare le priorità della nostra vita.

Il Vangelo: Mc 5,21-43

I due episodi riguardanti l’incontro di Gesù con Giairo, il capo della sinagoga, che assisteva impotente alla morte di sua figlia, e con una donna comune, innominata, che perdeva sangue da dodici anni, costituiscono un gioiello della letteratura evangelica e permettono di continuare il discorso iniziato con il libro della Sapienza. Un gioiello della letteratura biblica, dicevo, a motivo dell’incastro narrativo che tiene insieme i due racconti (incrementando la “suspense” del lettore), ma soprattutto a motivo della forza vitale sprigionata dai due episodi.

Per dare più risalto all’opera di Gesù, Marco si dilunga a descrivere le due situazioni di morte. A proposito dell’emorroissa riporta non solo gli anni della sua patologia – quasi a sottolineare che la donna era destinata a una morte lenta ma inesorabile – ma anche l’impotenza umana di fronte alla malattia della donna e la sua disperazione nel constatare che tutti i suoi pochi beni diminuivano in proporzione inversa al suo miglioramento. A proposito della figlioletta di Giairo, dopo la notizia della sua morte e dell’arrivo di Gesù in casa, il narratore si sofferma sulle manifestazioni funebri, che accompagnavano sempre un evento così tragico, e sulle reazioni sarcastiche di fronte all’intenzione di Gesù di voler intraprendere qualcosa.

Nel cuore della morte, Marco pone la Parola di vita, che esce dalla bocca di Gesù. Alla donna dice: Va’ in pace, e sii guarita dalla tua malattia. E alla fanciulla comanda: Ragazza, svegliati!  Bisogna però sottolineare un altro elemento importante, senza il quale la comprensione dei racconti sarebbe monca. Prima della guarigione, alla donna emorroissa, Gesù dice: figlia la tua fede ti ha salvata! E anche a Giairo, lungo la strada verso casa dove giace ormai il corpo della figlia senza vita, Gesù raccomanda: non temere. Continua solo ad aver fede! È interessante che il verbo greco sottolinei la continuazione di un’azione già intrapresa: Giairo deve solo perseverare nella fede, nonostante la fine si già arrivata.

Ma proprio qui è il messaggio centrale di Marco: la vita erompe tra le macerie della morte solo quando l’uomo è capace di avere fede, nonostante! Non è una fiducia magica e neppure una qualche credenza filosofica nell’immortalità dell’anima dopo la morte, che sorregge la speranza cristiana. Al tempo in cui fu scritto il Nuovo Testamento, la fede nell’immortalità dell’anima non era estranea al pensiero greco, ma non è questo il messaggio cristiano. Si tratta di altro: della relazione con Qualcuno che è venuto a condividere il limite e la sofferenza umana e, così facendo, ha fecondato il negativo della vita perché la morte non abbia l’ultima parola. Questa è la certezza cristiana: Dio non abbandonerà la vita nel sepolcro, né lascerà che il suo fedele veda la corruzione, ma gli indicherà il sentiero della vita, gioia piena nella Sua presenza (Sal 16).

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano

Fonte:https://diocesitivoliepalestrina.it/


Lascia un commento