
II Domenica Tempo Ordinario “B” – 17 Gennaio 2021
I Lettura: 1Sam 3,3-10.19
II Lettura: 1Cor 6,13-15.17-20
Vangelo: Gv 1,35-42
- Testi di riferimento: Gen 22,11; 46,2; Es 3,4; 20,19; 25,22; 1Sam 3,20; 9,6; 18,14; 1Re 8,56; 2Cro
28,9; Gb 33,14-15.23; Sal 85,9; Ct 1,7-8: Is 6,8; 44,26; Ger 9,24; Am 3,7; Mal 2,7; Mt 4,18-22;
11,27-30; Lc 2,49; 9,57-58; 14,25-27; Gv 1,46; 4,25.40; 5,30; 6,37.56; 8,31; 12,26; 13,36-38;
14,10.19-20; 15,4-7; 17,3; 18,4.7; 20,15-16; 1Cor 15,34; 1Pt 1,19-20; 1Gv 4,6; 5,20; Ap 3,20
- Se volessimo dare un nome alla tematica di questa domenica potremmo chiamarla “la chiamata
mediata”. Teniamo presente comunque che la seconda domenica del tempo ordinario risente ancora
del tema natalizio della “manifestazione”. Così nel brano di Vangelo odierno abbiamo di nuovo il
Battista che manifesta Gesù come “l’agnello di Dio”, e il primo evento del ministero pubblico di
Gesù dopo il Battesimo, come ci viene presentato dall’evangelista Giovanni. A differenza degli altri
Vangeli, in Gv non appare una chiamata diretta di Gesù nei confronti dei primi discepoli. Costoro
vanno dietro a Gesù indotti dalle parole non dello stesso Gesù, ma di alcuni testimoni. Eppure la
chiamata di Gesù verso queste persone c’è, anche se nascosta dietro l’apparenza di altre persone o
circostanze. Dunque, il tema di questa domenica possiamo definirlo come quello della chiamata
mediata da altre persone. Da qui l’abbinamento con la prima lettura che tratta della chiamata di
Samuele. - Prima lettura.
- In questo brano l’accento cade sicuramente sul verbo “chiamare” che appare ben 11 volte. Samuele è chiamato da Dio, ma pensa che sia Eli, il sacerdote del santuario, a chiamarlo. Non si tratta
esattamente di ciò che noi intendiamo per “vocazione” nel senso di un orientamento al servizio di
Dio, perché di fatto Samuele stava già al servizio di Dio (1Sam 3,1). Ed è proprio questa la cosa
sorprendente: nonostante che Samuele sia già al servizio di Jahvè, tuttavia non lo conosce (3,7). Ciò
significa che, per quanto possa sembrare paradossale, è possibile stare nella casa di Dio, magari anche facendo servizi per Lui, ma non conoscerlo. Così può succedere che Egli parli, ma non lo si capisca. «Dio parla in molti modi, ma non gli si fa attenzione» (Gb 33,14). Ci succede qualcosa, sentiamo qualcosa che ci scuote, e come Samuele ci rivolgiamo alle persone sbagliate, o reagiamo in
modo non adeguato. Dio non è silente, ma siamo noi che non abbiamo imparato ad ascoltarlo. Dio
ci parla attraverso i fatti della nostra vita, o attraverso dei profeti, ma siamo incapaci di riconoscerlo, nonostante che siamo dei credenti praticanti, magari sicuri di stare servendo il Signore, di fare
cioè la sua volontà. Dietro a quei fatti o a quei profeti non vediamo altro che mere situazioni umane.
Questo può avvenire inconsapevolmente, come per Samuele, che era tra l’altro molto giovane. Però
egli dopo l’indicazione da parte del sacerdote impara a rivolgersi alla Persona giusta. Ma se ci si
dovesse ostinare nel proprio errore allora diventerebbe un rifiuto deliberato, un indurimento del
cuore. - L’indicazione da parte del sacerdote a Samuele è indispensabile (come lo sarà quella del Battista
per i due discepoli del Vangelo); e ciò è a prescindere dalla santità del sacerdote stesso. Egli potrebbe essere anche qualcuno non propriamente gradito a Dio (come nel caso di Eli), ma ha comunque
la funzione di indicare dove sta Dio, di riconoscere Dio. Samuele sarà in grado di entrare in relazione con Dio soltanto dopo aver ascoltato l’uomo di Dio. Dio si può rivelare come vuole, ma ha voluto farlo attraverso la mediazione umana. Nella casa di Dio si impara ad ascoltarlo e ad obbedirgli. - Ugualmente è quindi indispensabile l’obbedienza. Samuele risponde immediatamente ogni volta
che si sente chiamato e fa esattamente quanto Eli gli dice. Questo atteggiamento di prontezza e di
obbedienza è quanto di più necessario ci sia per conoscere Dio. Anche in questo caso l’obbedienza
a Dio («parla Signore perché il tuo servo ascolta»: 3,9) deriva dall’obbedienza all’uomo di Dio. Allo stesso modo si comporteranno i due discepoli alle parole di Giovanni.
- Il Vangelo
- “Che cosa cercate?” (v. 38). Sono le prime parole che Gesù pronuncia nel Vangelo di Gv; e ciò è
estremamente curioso. Tra l’altro Gesù non chiede ai due che lo seguono “Chi cercate?”, ma “Che
cosa cercate?”; vale a dire: Che interesse avete nel seguirmi, che cosa volete da me? Abbiamo detto
che non è stato Gesù a chiamare questi discepoli. Essi lo seguono di loro iniziativa, dopo aver ascoltato le parole del Battista. Perciò Gesù si volta e fa loro questa domanda. In Lc 9,57-58 e 14,25-27
abbiamo due episodi analoghi, in cui delle persone seguono Cristo di propria iniziativa. In entrambi
i casi Gesù si rivolge a loro in modo non molto incoraggiante, facendo riferimento al suo andare alla
croce e alla necessità di rinunciare a tutto, persino alla propria vita, per poterlo seguire. Anche in Gv
13,36-38 troviamo Pietro che vuole seguire Cristo di propria iniziativa, ma anche in questo caso
Gesù gli risponde che non lo potrà fare, sempre a motivo della croce verso cui Gesù è diretto. Vale
a dire: è inutile andare dietro a Cristo – nel migliore dei casi si perderà soltanto tempo – se si sta
cercando qualsiasi altra cosa che non sia il seguire le sue orme. Chiedere “che cercate”, significa
chiedere “che desiderate”, che cosa veramente volete nel seguire me? Perché si può seguire Cristo
per tutt’altri motivi che quello di essere veramente suo discepolo. Si può seguire Cristo cercando solo il proprio interesse, cercando di realizzare i propri fini, come in Gv 6,26, dove delle persone cercano Gesù perché hanno beneficiato di un miracolo e sperano di riceverne altri; perché è questo che
a loro interessa. Allora Gesù, per non fare perdere tempo a quelli che lo seguono con questo atteggiamento sbagliato, dice loro: interrogatevi sinceramente sulle vostre intenzioni, se veramente desiderate seguire me, o avete altri fini. Occorre purificare la propria intenzione e “cercare” lo stesso
scopo che cerca Cristo. In Gv quello che Gesù “cerca” non è altro che la volontà del Padre (5,30). - “Rimasero con lui” (v. 39). Il vero discepolo è colui che ha conosciuto dove Cristo dimora ed ha
imparato a dimorare con lui. C’è qui probabilmente un riferimento all’usanza per cui i discepoli di
un “rabbì” (v. 38) vivevano con lui, imparando non solo dalle sue parole, ma anche dal suo modo di
vivere. È chiaro comunque che il verbo “rimanere” (menein), ripetuto tre volte, sta ad indicare qualcosa di molto profondo, una permanenza nella comunione con Cristo. La domanda dei discepoli è
paradigmatica; il discepolo di Cristo deve sempre chiedersi dove egli risieda, perché il discepolo è
colui che è unito strettamente al maestro. Il discepolo rimane in Cristo, è una sola cosa con lui, come il tralcio alla vite e in tal modo produce frutto, lo stesso frutto di Cristo (Gv 15,4-6.9-10). Essere
suo discepolo significa stare là dove è lui (Gv 12,25-26). - Nell’incontro con Simone Gesù palesa la sua conoscenza soprannaturale (1,42), come farà anche
in seguito con Natanaele (1,47-48). Gesù conosce Simone a priori e dimostrerà in futuro, quando gli
annuncerà il rinnegamento, di conoscerlo meglio di quanto si conosca lui stesso (Gv 13,38). Gesù è
colui che conosce l’uomo in quanto tale (Gv 2,25: «egli conosceva cosa c’era nell’uomo»), e conosce ciascuno di noi per nome. Ci conosce meglio di quanto possiamo conoscerci da noi stessi, perché è il Verbo di Dio e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste (Gv 1,3). Per questo
possiamo fidarci di lui; anzi, dobbiamo fidarci. Dobbiamo essere certi che il progetto che lui ha per
noi, un progetto scritto nei cieli dall’eternità, va seguito senza indugi. Cristo ha una chiamata per
ciascuno e una missione. Il nuovo nome dato a Simone indica questo progetto e la certezza della
riuscita di tale progetto, se lo si accetta e lo si segue fino in fondo. Nemmeno il fallimento di Pietro
al momento del rinnegamento farà venire meno la fedeltà di Cristo a questa chiamata e il successo
della missione. In forza della chiamata di Cristo, della sua fedeltà e della sua grazia, potremo seguirlo sino alla fine. - Alla fine del Vangelo abbiamo un altro dialogo fra Gesù e Pietro che fa da inclusione con il primo.
Lì Pietro riconosce che Gesù sa tutto. Pietro ha capito che Gesù conosce tutto, che lo conosceva più
di quanto egli conoscesse se stesso. Si tratta di un’esperienza che tutti quelli che sono chiamati ad
essere discepoli di Gesù hanno bisogno di fare. La “vocazione” è innanzitutto quella di essere suo
discepolo, di essere cristiani. Anche se siamo formalmente cristiani perché qualcuno ci ha fatto battezzare e ci ha mandato in chiesa, dobbiamo imparare che dietro a ciò c’è Cristo che ci ha chiamati
e ci chiede una nostra personale adesione. E il primo passo nell’essere cristiani è quello di capire
che noi non lo siamo e non siamo in grado di esserlo con le nostre forze. Ma in forza della chiamata
di Cristo – che ci ha chiamati nonostante conoscesse chi e cosa siamo – possiamo seguirlo e portare
con lui gli stessi suoi frutti.
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/