XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (02/10/2022) Vangelo: Lc 17,5-10
Finalmente una richiesta sensata: “Signore aumenta la
nostra fede”. Non c’è domanda più indovinata per la quale
non c’è risposta più sconcertante. Risponderà Gesù: “Se
aveste fede quanta un granello di senape, potreste dire a
questo gelso “Sradicati e vai a piantarti nel mare, ed esso vi
obbedirebbe”.
Accresci perché non basta. Ma non si tratta di gonfiare il bagaglio di fede ma di qualificarlo. La fede va purificata, vagliata, liberata da scorie, decantata e resa agile nel vissuto. Un solo granellino di una fede così è capace di rovesciare il mondo.
Nella risposta di Gesù c’è un’immagine di primavera. “Basta una fede grande con un granello”. C’è un gioco dell’assurdo o almeno di contrasti, in tutto ciò. Come può essere grande un granello?
Basta una fede grande come una cosa piccola, tra le più piccole. Allora è vero: non è in gioco la quantità ma la qualità e la potenza che sono racchiuse in un granello, in un seme.
Nel paragone, Gesù non sceglie qualsiasi cosa piccola ma un seme. Nel seme c’è già la pianta, tutta la pianta. Ha solo bisogno di tempo per crescere e svilupparsi. Il seme è come un nucleo incandescente che a poco a poco esplode. Gesù non è nuovo a queste immagini “degli opposti”.
Un po’ di lievito fermenta una grande quantità di farina. Un bambino è la misura della grandezza del regno dei cieli. Il chicco di grano se muore diventa una spiga ricca e promettente. La bellezza di un fiore di campo è più splendente delle ricchezze di Salomone. Due spiccioli valgono più di un tesoro. Un bicchiere d’acqua fresca può diventare caparra di eternità. E ora, la misura della fede grande sta nelle cose quasi invisibili.
È davvero consolante e stupenda questa logica di Dio che ha deposto in noi il suo piccolo seme di vita chiedendo alla nostra volontà il compito di custodirlo, di alimentarlo e di farlo vivere. Dio non ci chiede una fede spavalda ma una fede viva che nella sua fragilità e piccolezza riposa fiduciosa nel Signore.
La forza della fede proviene dalla Parola e non in chi l’annuncia. Dal seme e non da colui che lo sparge nella terra. Solo il Signore gonfia di vita il seme fino a maturazione.
Essere ‘servo inutile’ significa vivere senza pretese. Il servo è colui che rimane se stesso e non cammina in punta di piedi per sembrare più alto. La sua gloria è di aver servito. Una vita di servizio non cerca applausi o consensi. La ricompensa è di essere stato chiamato a servire.
Servire è il solo modo per umanizzare la storia, di far crescere alberi nel suo deserto sconfinato. Si serve non per premio o per castigo, come fanno i bambini, né per imposizione o per obbligo, come fanno gli immaturi e i paurosi, ma si serve perché così ha fatto Gesù, servo per amore.
La controprova della fede adulta è la gratuità. Chi annunzia risponde a un invito. Non cerca gloria perché è già ricompensa annunziare Dio, facendosi come Gesù servo di tutti. L’apostolo si cancella come protagonista perché è l’annuncio l’assoluto della sua vita. Scegliere, in questo mondo che parla di profitto, la lingua del dono; in un mondo che percorre la logica della guerra, battere la mulattiera della pace.
Sono parole grandi quelle che S. Paolo rivolge oggi a Timoteo: “Ravviva il dono di Dio… che non ti ha dato uno spirito di timidezza ma di forza, di carità e di coraggio… Custodisci in te il dono prezioso che ti è stato affidato”.
È come se alla nostra cresima Gesù ci avesse detto: “Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei
testimone: credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni”. Che forti ed esaltanti queste parole: credi, insegna, vivi.