Don Paolo Zamengo”Dodici anni”

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (23/06/2024) Vangelo : Mc 5,21-43

Sono molte le emozioni suscitate dalla lettura di questo brano del Vangelo
di Marco. Vengono narrati a incastro due miracoli. E già ci sarebbe da dire
sul perché di questo incastro. Prima bisogna ricordare il libro della
Sapienza: “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi”.
Queste parole annunciano che il progetto di Dio è la vita, e che anche
l’ultimo risveglio è sulla vita.
Ma deridevano Gesù, lo prendevano in giro quando della ragazzina
dodicenne lui diceva: “la bambina non è morta, ma dorme”. E sono parole
di chi invidia la vita, di chi non si appassiona alla vita, di chi lavora per la

morte. Ma saranno loro a fare l’esperienza della morte assoluta, definitiva.
Cerco di collocare i due miracoli del Vangelo a incastro, uno nell’altro, forse per via di quel numero
“dodici”, dodici anni. Due creature segnate dal tempo: dodici anni di malattia per la donna
sirofenicia che la metteva in stato di permanente impurità, di una malattia segno di colpa.
Macchiata da quel flusso di sangue. Dodici anni la bambina, l’arco che porta sulla soglia della
giovinezza, una soglia negata per questa fanciulla.
Ma forse il legame tra i due miracoli più che dal numero dodici è segnato dal modo in cui i due
avvengono; accadono per un contatto fisico. La fede della donna e la forza di Gesù passano
attraverso un contatto corporeo, fisico: toccare e farsi toccare. “Venne tra la folla alle sue spalle e
gli toccò il mantello. Diceva infatti: se riuscirò a toccare il suo mantello sarò guarita”. Gesù avverte
la potenza che era uscita da lui, si voltò dicendo: “Chi mi ha toccato il mantello?”. “Tu vedi la folla
che ti si stringe attorno e dici: chi mi ha toccato?”.
Gesù ha sentito la fede di quella donna attraverso le sue mani, in quel suo toccare. Le mani sono la
rivelazione della fede e della fiducia. È vero che il corpo è rivelazione della fede, di un sentimento,
di un pensiero, di un’emozione, di un’attesa. Ed è bellissimo! Anche se è vero che abbiamo alle
spalle anni di una certa educazione religiosa che aveva in sospetto il corpo. Certo i nostri corpi non
possiedono la potenza di Gesù ma non contengono un veleno ma un’energia buona, ce lo ha
ricordato il libro della Sapienza. Passa per il nostro corpo una energia buona, passa per il nostro
corpo una rivelazione.
A volte mi prende l’emozione guardando il palmo della mano di chi si protende per ricevere il pane
dell’Eucarestia. Ci sono mani, quante mani, che raccontano un desiderio. E vorrei stringere le mani
che annullano le barriere, che cancellano le distanze, che sfatano i pregiudizi. La donna,
l’emorroissa, con le sue mani, ha cancellato l’immagine di Dio che divide puro e impuro. Ha
cancellato quel tipo di religione secondo la quale lei era impura e toccando avrebbe reso impuro
anche Gesù.
“Figlia, la tua fede ti ha salvata”, disse Gesù . Ma dove Gesù ha letto la fede di quella donna se non
in quelle mani? Ed è impressionante anche osservare come Gesù non si senta toccato dalla folla.
Tutta la folla gli si stringe attorno, è pressato da ogni parte, ma lui non si sente toccato dalla folla.
Anche nell’episodio della bambina, avvertiamo tutto il disagio di Gesù e il rifiuto dello strepito
esteriore: “Perché fate tanto strepito, cacciate tutti fuori”. Ce lo immaginiamo Gesù che fa miracoli
in uno stadio o in un palazzetto dello sport?
Il toccare, il farsi toccare avviene in disparte, nel segreto del cuore. La discrezione e la profondità
illuminano i nostri gesti. Senza questo segreto, senza questa profondità, c’è solo uno spingere, un
accalcare, uno spintonare ma non il toccare umile che salva.


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